Che cosa sono le nuvole – Pasolini e la vita umana
Seconda parte (leggi la prima)
L’incomunicabilità è anche assenza di una visione privilegiata simboleggiata dalla massa anonima del pubblico che, nella sala teatrale, assiste alla rappresentazione dell’Otello e nulla può osservare se che si manifesta davanti agli occhi. Gli spettatori si immedesimano, partecipano fino al punto che, rotta la barriera che divide la finzione scenica dalla realtà, irrompono sul palco durante lo strangolamento di Desdemona, uccidono Otello e Iago e portano in trionfo Cassio. Non sanno nulla dell’interiorità dei personaggi, dei loro drammi e delle loro sofferenze fuori dal palco.
Ciò che si osserva è, per usare la terminologia husserliana, il Korper (il corpo-che ho), l’aspetto esteriore e carnale, ciò che si manifesta allo sguardo; il Leib (il corpo-che-sono), il centro fenomenologico dei vissuti interiori, è invisibile (e quindi inconoscibile) per qualsiasi visione esterna. Come è possibile approcciarsi al Leib? Entro quale misura è possibile un rapporto fra un Ego e l’Alter Ego, fra l’Io e l’Altro?
Si tratta inevitabilmente di un rapporto di tipo mediato il cui strumento principale è il linguaggio che, come visto sopra, è di per sé insufficiente. La connotazione infatti si riferisce al Leib, al mondo del “vissuto”. Fra Ego e Alter Ego sussiste una distanza che non potrà mai essere colmata completamente. Tale dialettica spaziale di vicinanza/lontananza tuttavia ha una funzione salvifica per garantire l’autonomia. Sarebbe terribile e pericoloso se l’Altro potesse essere conosciuto in ogni suo intimo pensiero, volontà, emozione venendo meno qualsiasi forma di differenza.
Tuttavia, si cerca di riempire quel “vuoto” attraverso dei movimenti intenzionalmente riempienti di natura interpretativa: io penso/immagino/sento che tu pensi/immagini/senti. Ogni interpretazione è una approssimazione poiché non totalmente l’oggetto interpretato: “toglie” qualcosa a ciò che si vuole interpretare e “aggiunge” qualcosa che deriva da chi interpreta.
I corpi morti di Otello e Iago vengono raccolti dal mondezzaro che, ineluttabile come la fine di ogni cosa, compie il suo lavoro: “viene, raccoglie i morti e se ne va”. É il processo del divenire con il suo procedere fatale e necessario. “Che ci vuoi fare? Uno alla volta, tocca a tutti” afferma con tristezza Cassio mentre i suoi compagni vengono caricati nella camionetta per essere trasportati e poi gettati nella discarica.
Come un novello Ermes, il dio psicopompo che scortava le anime nell’Ade, il mondezzaro svolge il suo compito in maniera meccanica e indifferente accompagnando con il canto ogni sua azione.
Così come nella prima scena la marionetta di Otello rimpiazzava uno spazio vuoto, così gli spazi vuoti lasciati da Otello e Iago, molto probabilmente saranno rimpiazzati da altri. The Show must go on. Lo show deve andare avanti, sempre e comunque.
La fatalità del processo del divenire si permea di un altro tipo di necessità, quella della società del consumo che necessita di Thanatos per legittimare e conservare se stessa trasformando tutto ciò che tocca in “prodotto” da usare, consumare e infine rimpiazzare con un prodotto diverso nella forma e uguale nella sostanza; un destino al quale neanche l’Arte può sfuggire come lucidamente sottolineato da Theodor Adorno e Max Horkheimer nella critica all’industria culturale ne La dialettica dell’illuminismo.
La discarica, il luogo dove gettare gli oggetti che hanno perso la possibilità di essere utilizzati e quindi la propria ragion d’essere, è il fine e la fine escatologica della società del consumo.
Le due marionette ormai inservibili subiscono la catabasi, la discesa in un nuovo Ade per essere oggetti tra oggetti accumulati e infine dimenticati.
Sprofondati nella pura immanenza della materialità, Otello e Iago alzano gli occhi al cielo e vedono le nuvole, l’epifania, immediata e improvvisa, di una dimensione più alta, uno iato di trascendenza e spiritualità (ben presente nella poetica di Pasolini che nasce dalla contemplazione della Bellezza).
«Che so’ quelle? chiede Otello – Quelle sono le nuvole – E che so ste nuvole? Quante son belle …quanto son belle …quanto son belle».
Nel Simposio e nel Fedro Platone descrive come la Bellezza, l’oggetto del desiderio di Eros, permette all’animo umano di intraprendere quel percorso anagogico che, dalla visione del bello sensibile, giunge alla contemplazione del Bello noetico e della Verità.
Beauty is Truth. Truth is Beauty. That is all ye know on earth, and all ye need to know [La Bellezza è Verità. La Verità è Bellezza. Questo è tutto ciò che sappiamo nella terra, e questo è tutto ciò che dobbiamo sapere] scrive il poeta romantico inglese John Keats in Ode on a Grecian Urn.
«Straziante, meravigliosa bellezza del creato» le ultime parole pronunciate da Iago ci riportano alla dimensione dell’ineffabile.
Al cospetto di una dimensione trascendente che strazia e meraviglia l’animo umano, ogni parola, ogni costrutto della ragione è inadeguato. É un abbandonarsi alla speranza che nell’indifferente Processo del divenire, quell’eterno susseguirsi di nascite e morti, la vita individuale con le sue gioie e le sue sofferenze, abbia un significato più alto che non essere solo prodotto di un consumo, sociale e cosmico.
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