Come evitare pregiudizi e biases nella Ricerca Qualitativa
Vedi le altre parti dell’articolo su “La ricerca qualitativa” e i biases dei ricercatori di Carmen Cini
I pregiudizi nella ricerca qualitativa possono essere ridotti al minimo se il ricercatore sa cosa cercare e come gestirlo. Ponendo domande di qualità al momento giusto e rimanendo consapevole e concentrato sulle fonti di bias, è possibile cogliere le prospettive più vere degli intervistati e garantire che la ricerca risultante sia all’altezza dei più elevati standard qualitativi.
D’altra parte, il pregiudizio da parte di un ricercatore può essere introdotto se questo interpreta inconsapevolmente i dati per soddisfare la sua ipotesi o includere solo dati che ritengono rilevanti. Potrebbe porre domande in un ordine che potrebbe influenzare la risposta del partecipante alla domanda successiva o porre domande importanti che potrebbero richiedere una determinata risposta. Nella fattispecie, meglio chiedersi se la sequenza delle domande possa causare biases e, in caso affermativo, cambiare la sequenza per verificare cosa abbia senso.
Per ridurre al minimo questo pregiudizio, è necessario porre domande che utilizzino il linguaggio degli intervistati ed informarsi sulle implicazioni dei pensieri e delle reazioni di un intervistato. Evitare di riassumere ciò che gli intervistati hanno detto con parole proprie e non approfondire ciò che hanno detto, diventa determinante. Come altresì cercare di non assumere relazioni tra un sentimento e un comportamento. E’ bene mantenere le domande semplici e fare attenzione ad evitare parole che potrebbero introdurre pregiudizi. Non utilizzare “domande guida” che potrebbero indurre il partecipante a rispondere a favore di una particolare assunzione. Preferire porre “domande indirette”, come “domande di comportamento” prima di “domande di atteggiamento”.
Ad esempio, porre “domande a risposta aperta” spinge i partecipanti a riflettere ed esporre le proprie risposte, impedendo così loro di essere semplicemente d’accordo o in disaccordo con il ricercatore e di dare risposte con una sola parola come “Sì” o “No”. Oppure, inquadrare le domande in una prospettiva in terza persona (ad es. “Cosa farebbe lui/lei?” invece di “Cosa faresti?”) aiuta i partecipanti a proiettare i propri pensieri sugli altri, ottenendo risposte veritiere che sono rappresentative dei loro veri sentimenti.
Come pertanto noto, la maggior parte dei pregiudizi può essere evitata inquadrando le domande e strutturando abilmente l’intervista. Potrebbe anche essere una buona pratica far rivedere le domande ed i dati da un collega o mentore per un secondo parere imparziale.
L’utilizzo di più persone per codificare i dati è una strategia efficace per sapere se la propria interpretazione sia coerente con la comprensione di un’altra persona. Il ricorso a più codificatori per interpretare i dati apporta una varietà di prospettive al proprio studio, aiutando a determinare se i propri dati siano in accordo con la propria ipotesi.
Far poi fare una revisione esterna del proprio lavoro attraverso il contributo di più analisti consentirà di ottenere prospettive diverse e, qualora emergessero distorsioni nei rapporti, queste potrebbero essere individuate. Una revisione tra pari esterna aiuterà ad identificare modifiche o lacune nella propria argomentazione che dovrebbero essere affrontate. Avere un paio di occhi nuovi per esaminare il proprio lavoro permetterà di vedere i dettagli che hanno causato pregiudizi e che potrebbero essere andati persi durante l’interpretazione. La triangolazione comporta la ricerca di fonti secondarie per verificare se i dati primari siano validi e affidabili. Se fonti esterne confermeranno le interpretazioni del ricercatore, questi potrà essere sicuro che le informazioni che ha raccolto siano legittime.
Riconoscere il proprio ruolo nello studio tenendo la mente aperta farà sì che l’impegno del ricercatore verti verso l’obiettività nel miglior modo possibile. Non a caso, secondo l’Association of Qualitative Research, il ricercatore dovrebbe mirare all’imparzialità nel proprio studio invece che all’obiettività. Quando analizza i dati, questi deve riflettere in modo critico su come la propria identità nel suo insieme potrebbe influire sulle proprie scoperte. E così rimane importante l’essere trasparente sui propri metodi ed interpretazioni in modo che i lettori possano vedere la logica alla base del proprio processo.
Inoltre, avere partecipanti che convalidino i propri risultati può offrire un quadro chiaro del fatto che le proprie scoperte possano essere una rappresentazione accurata delle loro convinzioni, aiutando il ricercatore, in ultima analisi, ad evitare pregiudizi nella ricerca qualitativa.
0 comments on “Come evitare pregiudizi e biases nella Ricerca Qualitativa (parte seconda)” Add yours →