Il TIMEO e l’Armonia del Cosmo (prima parte)
Vedi le altre parti dell’articolo di Nicola Carboni “Il TIMEO e l’Armonia del Cosmo”
Il Timeo è uno degli ultimi scritti di Platone e, per molti secoli, è stato il dialogo più letto e apprezzato. Senza dubbio alcuno è possibile considerarlo uno dei testi più influenti di tutta la storia del pensiero occidentale; basti pensare che Raffaello ne “La scuola di Atene” dipinse, sotto il braccio di Platone, proprio il Timeo in quanto considerato la massima espressione della sua speculazione filosofica.
L’obiettivo del dialogo è ragionare, attraverso una immaginaria linea discendente, dall’origine del Cosmo “κόσμου γενέσεως” alla natura degli uomini “άνθρώπων Φύσινέμέ”.
In questo articolo, che sarà suddiviso, in varie sezioni cercherò di mostrare, attraverso l’analisi testuale, come nel Timeo sia condensato il concetto di classicità greca. Propongo un ideale viaggio, attraverso varie tappe, nel mondo greco, ormai lontano nel tempo, ma che continua a mantenere un fascino inalterato. Buona lettura!
Il concetto di cosmo
Per “cosmo” dobbiamo intendere primariamente un ordine onnicomprensivo nel quale ogni realtà trova in esso un luogo e una ragione d’essere. Essere parte di un cosmo significava essere partecipi di un tutto la cui struttura di realtà finalisticamente e gerarchicamente ordinata, si manifestava e si rifletteva in ogni singola sua parte al modo di una ragione sostanziale, sottostante agli enti e agli eventi. Si tratta di una legalità immanente, iscritta nelle cose che a siffatto ordine partecipano. Un Tutto unico, strutturato del quale ogni cosa che è, ne è custode e testimone.
I presupposti teoretici del Timeo
La struttura teoretica del Timeo si fonda sul parallelismo onto-epistemologico secondo il quale a diversi ordini di “essere”, l’ontologia, corrispondono diversi ordini di conoscibilità, l’epistemologia. L’essere intelligibile degli enti noetici, è ciò che è sempre, non soggetto a mutazione, a generazione e al divenire, è coglibile per mezzo della ragione ed è, gnoseologicamente, oggetto di un discorso vero il cui correlato è αλεθεια [aletheia], la verità.
L’essere degli enti sensibili, soggetti a generazione e al divenire, è coglibile tramite percezione, ed è oggetto di una conoscenza probabile il cui correlato è δοζα [doxa], l’opinione secondo un grado di πίστις, la credenza. Contrariamente alla ratio moderna figlia della rivoluzione scientifica, l’unico discorso necessario è quello metafisico perché l’oggetto sul quale verte è l’essere stabile delle forme intelligibili, le Idee, che fanno da παράδειγμα [paradeigma], modello per gli enti sensibili che delle Idee partecipano. Tutti i discorsi che riguardano la realtà fisica, di ciò che è generato e sottostà alle leggi del divenire, non possono ambire ad altro che ad una connotazione di verosimiglianza proprio perché l’oggetto sui quali vertono non ha una natura stabile.
Di conseguenza, Platone sottolinea e ammonisce, intorno alle origini del cosmo fisico non è possibile fare un discorso vero in senso assoluto. Riguardo a tutto ciò che è sensibile, proprio perché veicolato dalla sensibilità, l’uomo deve accontentarsi di una narrazione probabile. Poiché si tratta di una natura generata e diveniente, per poter essere, ha bisogno di una causa che ne produca la generazione. Questa causa è il Demiurgo che, guardando al modello ideale e meta-sensibile, dà origine al mondo sensibile.
Una doverosa precisazione riguarda il concetto di creazionismo. Non si tratta, come nella cultura giudaico-cristiana di una creatio ex nihilo, un passaggio dal non-essere all’essere, ma un imporre forma ad un principio materiale, la hyle, che coincide con l’informe e l’indeterminato. La Materia è intesa come Ricettacolo, pura potenza, che, non avendo una forma, può essere plasmata per mezzo dell’Intelligenza demiurgica. Il creazionismo platonico deve essere inteso come un passaggio da άταξίας (ataxias) il disordine a τάξις (taxis), l’ordine.
Come dobbiamo intendere tale ordine? Per rispondere a questa domanda è necessario fare una breve riflessione sull’etimologia di “Demiurgo” che, in maniera semplicistica, viene reso come Artefice il cui paragone potrebbe essere un vasaio che, partendo da un pezzo informe di argilla, lavorando, lo plasma e impone una forma. Il nome è formato da ἕργον (ergon) che indica un lavoro, un’opera compiuta, portata a termine e δήμιος (demios). Durante il corso della storia il termine “demo” ha assunto il significato di popolo, ma, in origine, il demo indicava la suddivisione dell’antica Attica (il territorio di Atene) entrata in vigore con la riforma di Clistene (508/507 a. c.). Rappresentava dunque una divisione territoriale, un atto fondativo la cui importanza è stata persa nel tempo. Basti considerare che l’atto di creazione della città, la polis, consisteva nel tracciare una linea all’interno della quale si creava uno spazio nel quale l’uomo, aggregandosi con altri individui e organizzandosi socialmente, poteva sviluppare la natura sua propria (quella razionale) che lo distingue dagli altri animali. Aristotele ne la Politica definisce infatti l’essere umano un animale sociale, uno zoon politikon. Demiurgo significa quindi colui che compie la sua opera imponendo un ordine che si esplica attraverso divisioni che delineano dei confini entro i quali l’informe prende forma. È implicito che nell’atto del dividere sia sottesa una operazione numerica. L’importanza del concetto di ordine che deriva dal numero sarà ampiamente sviluppata più avanti, tuttavia è bene sottolineare fin da subito come questo concetto è fondamentale per una corretta trattazione del rapporto fra proporzione e armonia.
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