G.L.: “Nulla esiste. Se qualcosa esistesse non sarebbe conoscibile. Se qualcosa fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”.
L’incomunicabilità dell’esperienza umana
People talking without speaking
People hearing without listeningThe sound of silence – Simon&Garfunkel
Nulla esiste
“Nulla esiste. Se qualcosa esistesse non sarebbe conoscibile. Se qualcosa fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”.
Così si espresse Gorgia da Lentini in un impeto di nichilismo assoluto. Per la prima volta nella storia del pensiero venivano messe in dubbio non solo l’essere e la conoscibilità delle cose, ma anche la comunicabilità dell’esperienza umana in generale.
Molto spesso, quando scrive di filosofia, il filosofo (o presunto tale) si arma di tutto il suo arsenale culturale attraverso un labirinto di citazioni, frasi arzigogolate, parole in greco o in tedesco (che fanno sempre la loro bella figura). Tutto questo nutre e gonfia un certo narcisismo intellettuale del quale chi scrive non è esente.
Non solo i libri tuttavia possono essere spunto di riflessione. Per trattare il tema della incomunicabilità mi rivolgerò alla musica, in modo particolare a Confortably Numb dei Pink Floyd contenuta nell’album The Wall, del 1979 nel quale viene raccontata la storia di Pink, una rockstar che, a causa di traumi in età infantile, si costruisce un ideale “muro” per nascondersi e difendersi.
“Confortably Numb” è il dialogo fra un medico e Pink che, completamente isolato e incapace di sopportare la vita da rockstar, ha un malore nella camera di albergo prima di un concerto.
A livello esistenziale l’esperienza della incomunicabilità è devastante e annichilente, di totale separazione. Il medico parla a Pink, gli chiede di mostrare dove fa male – Can you show me where it hurts? – legge il dolore da un punto di vista fisico non capendo che la sofferenza del protagonista è di altro tipo, che non può essere curata attraverso la somministrazione di un farmaco. Si crea una distanza – a distant ship smoke on the horizon – [una nave lontana fumava all’orizzonte] che diventerà incolmabile.
Incomunicabilità non è il silenzio.
“Non si può non comunicare” recita il primo assioma della Pragmatica della Comunicazione Umana. Nell’esperienza umana esiste un altro tipo di silenzio più disarmante: è quello fatto di parole. È il parlare come atto meccanico, superficiale. Parlare non è qualcosa di diverso rispetto al comunicare. Comunicare è quel passo oltre le parole stesse, è un andare verso l’altro, incontrare l’altro. Mentre il parlare rimane ancorato al significato denotativo della parola (il livello letterale o di notizia), il comunicare si lega al significato connotativo, quell’universo di emozioni che sono connaturate alle parole stesse. Non comunicare è non sentirsi ascoltati, compresi, accolti.
I silenzi parlati, quando si parla all’altro tanto per parlare, sono i mattoni che creano i muri, the wall, che separano le persone, sgretolano i rapporti, gettano nella solitudine. – your lips move but i can’t hear what you’re saying – [le tue labbra si muovono ma non riesco a sentire cosa stai dicendo] esprime magnificamente tale sensazione. Pink vorrebbe essere ascoltato, accolto nel suo dolore, compreso nella sua persona. La reazione alla incomunicabilità è la totale chiusura in se stessi – I can’t explain you would not understand [Non posso spiegare, non capiresti].
Nella camera di albergo, fra Pink e il medico, si consuma una tragedia umana fatta di incomprensioni, distanze, incapacità di comunicare. I due personaggi, posti su due livelli diversi, non possono incontrarsi. È una tragedia umana che diventa universale. Chiunque almeno una volta nella vita si è sentito Pink. E almeno una volta è stato il dottore.
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