Dal momento della nascita tutta la vita rappresenta un apprendimento che avviene in modo semplice e continuo, attraverso interazioni a diverso livello di complessità con l’ambiente che ci circonda.
Il concetto di apprendimento si riferisce al manifestarsi di un cambiamento nel comportamento di un soggetto di fronte a una data situazione, per il fatto che quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente, ammesso che il cambiamento del comportamento non possa essere spiegato con tendenze innate alla risposta, maturazione o stati temporanei del soggetto (fatica, droghe ecc.). In altre parole, l’apprendimento è l’insieme di quei cambiamenti relativamente stabili nel comportamento che sono la conseguenza delle passate esperienze e hanno per lo più una funzione adattiva per l’organismo.
L’apprendimento deriva dall’esperienza all’interno di un dato contesto di vita, che si caratterizza come l’insieme di eventi tipici di quella particolare situazione: quindi la sorgente del cambiamento va ricercata nella relazione con l’ambiente, cioè in quella somma totale di stimoli che l’individuo riceve e a cui risponde, dal concepimento fino alla morte. L’organismo e l’ambiente sono perciò immersi in un accoppiamento strutturale capace di determinare, sia nell’uno, sia nell’altro, una serie di perturbazioni che nella loro dinamica, possono modificare l’espressione ontogenetica del loro divenire.
L’epistemologo cibernetico Gregory Bateson in un suo famoso saggio “Le categorie logiche dell’apprendimento e della comunicazione”, definisce l’apprendimento come divisibile in livelli gerarchici (i livelli logici dell’apprendimento), aventi tra sé una relazione circolare a sviluppo progressivo. In altre parole, ad un apprendimento iniziale dato dal patrimonio genico dell’individuo, nel corso dell’ontogenesi dell’organismo si evidenzia un aumento di complessità cognitiva capace di contrapporsi agli automatismi codificati geneticamente, fino allo sviluppo di una complessa funzione autoriflessiva che mette il soggetto in grado di discriminare i contesti di vita, aumentando così la sua plasticità alle richieste dell’ambiente.
Bateson a questo proposito, ipotizza una funzione dell’organismo che ha denominato “Deutero Apprendimento”, cioè una capacita di apprendimento di tipo superiore in relazione al processo di adattamento contestuale, cioè un imparare ad imparare. Bateson scrive:“Ora accade che nei laboratori di psicologia si verifica comunemente un fenomeno di un grado di astrazione o generalità alquanto maggiore di quelli per lo studio dei quali sono stati progettati gli esperimenti. È luogo comune che il soggetto sperimentale, sia esso uomo o animale, diventa un miglior soggetto dopo ripetuti esperimenti. Egli non solo apprende a salivare ai momenti opportuni o a recitare le appropriate sillabe senza senso, ma anche, in qualche modo, apprende ad apprendere. Non solo risolve i problemi postigli dallo sperimentatore e che singolarmente sono problemi di apprendimento semplice, ma al di là di questo egli diventa sempre più capace di risolvere i problemi in generale”.
La capacità di ricordare
Quell’insieme di eventi interni dell’organismo che nel loro insieme vengono definiti con la parola apprendimento, nel linguaggio comune ma anche nei più recenti manuali di psicologia generale, vengono raggruppati all’interno della “parola” memoria.
Per memoria si intende la capacità un organismo vivente di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri. La funzione con cui si esprime la memoria è il ricordo la cui scomparsa determina l’oblio.
Con i termini memoria a breve termine, memoria a lungo termine, memoria episodica e memoria semantica, memoria dichiarativa e memoria procedurale, memoria immaginativa e memoria verbale, non si intende tanto magazzini differenti di memoria o di parti distinte della nostra memoria, si evocano piuttosto “aspetti” con cui si rivela la nostra memoria.
Col termine memoria a breve termine si indica una forma di conservazione che dura poche decine di secondi; se il suo contenuto non viene trasferito in un archivio più “resistente”, ovvero nella memoria a lungo termine, viene perduto.
Tulving ha distinto una memoria episodica e una memoria semantica, perciò secondo questo autore, uno stesso stimolo può essere un “episodio”, oppure qualche cosa che viene assimilato a molte altre esperienze. Secondo Tulving, nella memoria episodica vi sono conoscenze su oggetti ed eventi riferibili a un momento preciso in cui un individuo le ha acquisite. La memoria semantica è svincolata, invece, dai riferimenti ad esperienze individuali e contiene un insieme di proposizioni che sono condivise da più individui. Questo tipo di conoscenza sarebbe organizzato in reti in cui proposizioni diverse sono interconnesse tra di loro spesso in modo gerarchico (uno dei primi modelli a rete gerarchica della memoria semantica fu quello di Collins e Quillian). La memoria semantica è spesso intesa come sinonimo di rappresentazione e organizzazione delle conoscenze nella mente umana.
La conoscenza dichiarativa è qualcosa di simile alla map knowledge, mentre è tipicamente procedurale la route knowledge.
Per le conoscenze preposizionali e immaginative, ci sono dati sperimentali che dimostrano che le nostre elaborazioni cognitive si avvalgono sia di una forma di rappresentazione spaziale e visiva, sia di una forma preposizionale, cioè una serie di descrizioni sulle relazioni tra oggetti ed elementi (ad esempio, la proposizione “Il libro sta sul tavolo” descrive la dislocazione nello spazio dei due oggetti libro e tavolo e questa descrizione è il fondamento dell’immagine relativa).
I modelli teorici della memoria
Tra i primi modelli che concepivano la mente come una struttura a stadi, ebbe una notevole influenza il modello di Atkinson e Shiffrin sui due stadi della memoria (memoria a breve termine e memoria a lungo termine) preceduto da un magazzino di registrazione dell’informazione sensoriale. Tale modello fu criticato da Craik e Lockhart (1972) nella loro nuova proposta dei “livelli di elaborazione”. La “forza della memoria” e la prestazione nei compiti di memoria sarebbe dipesa da quella che fu definita la “profondità” di elaborazione dell’informazione piuttosto che dalla sua ripetizione continua. Ad un livello superficiale di elaborazione (analisi delle caratteristiche fisiche) sarebbero seguiti i livelli più profondi (fino all’analisi semantica). Su questa linea è possibile inserire la teoria della doppia codifica di Paivio. Questa sostiene che i processi cognitivi operano attraverso due modi distinti anche se interagenti: da una parte un sistema non verbale, immaginativo, e dall’altra un sistema verbale specializzato. Paivio mise in evidenza nei suoi esperimenti che l’informazione verbale relativa ad oggetti concreti, facilmente immaginabili, come ad esempio “coniglio”, è trattenuta in memoria in misura maggiore dell’informazione verbale astratta, difficilmente immaginabile, come ad esempio “virtù”. Le parole a carattere immaginativo traggono il loro vantaggio dalla doppia codifica cui sono sottoposte (immaginativo e verbale), mentre le parole astratte, a carattere non immaginativo, sono ricordate in misura minore essendo state codificate solo con il codice verbale.
I modelli connessionistici derivanti dalle reti neurali propongono l’ipotesi sub-simbolica della conoscenza. Secondo questi modelli nella memoria non si troverebbero simboli immagazzinati, ma pattern di attivazione capaci nel loro incontro con la realtà esterna all’organismo di ricreare l’esperienza del ricordo nelle sue manifestazioni simboliche. In altre parole, la memoria di un evento o cosa verrebbe ricreata ad hoc, tutte le volte che se ne generi la necessità.
BIBLIOGRAFIA
- Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Ed. Adelphi, 2000
- Maturana H., Autocoscienza e realtà, Ed. Raffaello Cortina, 1993
- Maturana H.; Varela Francisco J. L’ albero della conoscenza, Ed. Libri Garzanti, 1999
- Sirigatti S., Manuale di psicologia generale, Ed. UTET Libreria, 1995
- Viggiano M. Pia, Introduzione alla psicologia cognitiva. Modelli e metodi, Ed. Laterza, 1997
- Watzlawick P.; Beavin J. H.; Jackson D. D, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Ed. Astrolabio, 1971
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