La CREAZIONE del MONDO quotidiano. Un approccio di dialogo fra PSICOLOGIA e FILOSOFIA. L’APPRENDIMENTO – I modelli - di Nicola Carboni

La creazione del mondo quotidiano. Un approccio di dialogo fra psicologia e filosofia. L’apprendimento – I modelli.

Prima di analizzare in maniera specifica l’aspetto puramente…
 

La CREAZIONE del MONDO quotidiano. Un approccio di dialogo fra PSICOLOGIA e FILOSOFIA.

L’APPRENDIMENTO – I MODELLI

Nelle parti precedenti abbiamo cominciato ad affrontare il concetto filosofico di naturalizzazione del mondo postulando che esso corrisponda a un atteggiamento naturale poiché si fonda su alcuni funzionamenti mentali e psicologici dell’essere umano. Abbiamo inoltre visto, ragionando intorno all’attenzione e alla memoria, come esitano dei processi automatici che avvengono senza l’ausilio della consapevolezza, che hanno la funzione di semplificare il nostro adattamento nel mondo esterno proponendo risposte cognitive e comportamenti di tipo meccanico e che appartengono a quello che viene definito inconscio cognitivo. Tuttavia, prima di analizzare in maniera specifica l’aspetto puramente cognitivo, è necessario soffermarsi su un’ulteriore funzione mentale, ovvero l’apprendimento. Infatti abbiamo bisogno di banalizzare il mondo che ci circonda e di incorporarlo attraverso l’apprendimento.

Può essere definito come quel processo che grazie al quale acquisiamo conoscenze sul mondo e le codifichiamo nelle memorie a lungo termine, creando un deposito di conoscenze precedenti che contribuisce a pianificare e guidare in nostro comportamento [Kandel, 2000].

Anzitutto dobbiamo prendere in considerazione due aspetti: l’approccio algoritmico o descrittivo ovvero “come apprendiamo” volto a individuare quali processi di elaborazione sono effettivamente utilizzati dagli organismi e l’approccio computazionale ovvero “cosa apprendiamo” dalle informazioni (di tipo statistico) volto a definire quali funzioni un processo cognitivo approssima o computa a prescindere da quali procedure usi per farlo.

In questa sezione ci soffermeremo sull’approccio computazione mostrando i vari modelli di apprendimento che sono stati elaborati a partire dai lavori pionieristici di Pavlov.

 

IL CONDIZIONAMENTO CLASSICO

Pavlov aveva notato come, mettendo del cibo nella bocca di un cane, si producesse un immediato aumento della salivazione. Questa relazione tra Stimolo (S) e una risposta (R) è la conseguenza di un riflesso, ovvero una risposta automatica iscritta geneticamente nel sistema nervoso. Lavorando sui cani, notò che questi producevano più saliva quando udivano e vedevano eventi che precedevano il cibo. Chiamo questi riflessi condizionati o appresi. Attraverso una grande quantità di esperimenti a partire dal 1902, Pavlov illustrò che la ripetuta associazione in condizione di contiguità temporale di uno stimolo condizionato SC (come il suono di una campanella prima della somministrazione del cibo), provocava un aumento della salivazione (RC risposta condizionata)

Il processo di condizionamento classico o pavloviano comporta l’associazione ripetuta tra Stimolo condizionato e incondizionato e tale associazione condiziona lo Sc a evocare una Risposta condizionata simile alla Risposta incondizionata. Grazie alla contiguità temporale si forma l’associazione Sc –> Si che Pavlov definisce acquisizione.

 

IL CONDIZIONAMENTO OPERANTE

L’estensione del condizionamento classico fu realizzata da uno dei più famosi psicologi della storia, esponente di punta del comportamentismo, Burrhus Skinner. Questi sostenne che il condizionamento classico non era in grado di giustificare alcune forme del comportamento complesso umano e animale. Gli organismi infatti non si limitano a associare risposte automatiche a nuovi stimoli, ma imparano anche nuove risposte e agiscono per ottenere alcune conseguenze.

Riprese gli studi sull’apprendimento per prove e errori di Thorndike, attraverso l’osservazione del comportamento di un gatto all’interno di gabbia, la problem box. Il gatto compiva movimenti casuali fornendo quindi risposte giuste e sbagliate. La risposta giusta consisteva nell’azionare una leva per permettere l’uscita dalla gabbia. Thornike accertò che le risposte corrette tendevano a essere ripetute e quelle sbagliate, abbandonate. Definì tale associazione legge dell’effetto, poiché i legami associativi non dipendono solo dalla loro contiguità temporale, ma anche dagli effetti che producono. Definì inoltre la legge dell’esercizio secondo cui la ripetizione di una risposta diventa tanto più probabile quanto spesso è ripetuta.

Skinner osservò come attraverso un programma strutturato di rinforzi fosse possibile aumentare la possibilità di un comportamento. I rinforzi possono essere di tipo positivo (es una gratificazione) o di tipo negativo (es. l’eliminazione di una situazione spiacevole). Distingue inoltre fra rinforzo e punizione che consiste nella realizzazione di una situazione spiacevole con lo scopo di diminuire la probabilità di frequenza di un certo comportamento.

Attraverso un piano di rinforzi a intervalli fissi o variabili, Skinner pensavo fosse possibile lo shaping, il modellamento, del comportamento, un meccanismo talmente potente che lo psicologo pensava si potesse esportare a livello sociale per la creazione di una società utopica, priva di conflitti, e basata sui principi del comportamentismo così come espresso in Walten Two, il romanzo utopico ( o distopico) dello psicologo e aspramente criticato prima da Anthony Burgess e poi da Stanley Kubrik in A Clockwork Orange, Arancia Meccanica.

Gli studi classici sull’apprendimento di Pavlov e Skinner arrivano alla conclusione che i fattori, necessari e sufficienti, per l’apprendimento fossero sostanzialmente tre

  1. La ripetizione di contingenze
  2. la contiguità temporale
  3. il valore incentivante

Oggi sappiamo che questi fattori, per quanto importanti, non sono né necessari né sufficienti.

Fondamentali in questo ambito sono gli studi di Edward Tolman che incrinarono le conclusioni del comportamentismo skinneriano aprendo le porte alla rivoluzione cognitivista. Riteneva che ciò che era appreso fossero connessioni “stimolo-stimolo” (connessioni predittive tra le rappresentazioni di certi eventi e gli eventi stessi) e non catene S-R che associavano meccanicamente uno stimolo a una qualche risposta. Le informazioni in entrata, in input, sono elaborate per costruire una mappa dell’ambiente cognitivo. L’apprendimento di queste mappe può essere latente, ovvero gli organismi apprendono e incamerano, per gli eventi successivi, insiemi di relazioni tra stimoli ambientali anche in assenza di incentivi immediati, formandosi una serie di aspettative e di schemi mentali.

Su questa base Tolman sostiene che l’apprendimento può avere luogo grazie alla semplice esposizione all’ambiente e introduce la distinzione fra competenza (ciò che si apprende) e prestazione (l’apprendimento messo in atto). L’apprendimento si manifesta dunque vi è uno scopo per mettere in atto il comportamento appreso.

Tolman introdusse una concezione cognitiva come un processo attivo, costruttivo e interattivo da parte dell’organismo con l’ambiente.

Hudson (1950) e Garcia (1968) attraverso gli studi sul cosiddetto One shot learning posero dubbi sulla ripetitività come elemento necessario e sufficiente dell’apprendimento. In casi di estrema salienza, di fatti nuovi, insoliti e sorprendenti, l’apprendimento può avvenire anche per caso singolo. La domanda è: nei casi “normali” che ruolo ricopre la ripetitività? Gli studi hanno mostrato come la ripetizione fine a se stessa, in assenza di predittività, sembra non avere alcun ruolo importante.

Gli studi sull’apprendimento mostrano come abbiamo bisogno di una certa ripetitività che copra le nostre aspettative sulle cose, ovvero la conferma che i nostri schemi cognitivi sono predittivi circa gli eventi. Nella conferma di predittività possiamo trovare tutte quelle conoscenze depositate nella MLT che fungono da meccanismi automatici e che formano il nostro inconscio cognitivo.

Tuttavia un evento sorprendente, che potremmo far ricadere nella definizione di a-topos come l’immagine dei prigionieri nella caverna di Platone, proprio per la sua funzione di rottura della quotidianità, di rottura degli schemi cognitivi, destando curiosità, ha un alto valore di conoscenza in quanto, producendo sorpresa e meraviglia, induce a domandarsi il “perché” delle cose.

Secondo Jean Piaget (1896-1980), uno dei padri fondatori della psicologia dello sviluppo, lo sviluppo mentale è guidato dallo stesso principio che regola l’evoluzione biologica degli organismi viventi, secondo il quale le strutture interne si modificano ogniqualvolta devono far fronte a nuovi bisogni. Tali modificazioni sono il risultato di due processi: l’assimilazione e l’accomodamento.

L’intelligenza è assimilazione in quanto incorpora nei propri schemi i dati dell’esperienza ma è allo stesso tempo accomodamento poiché gli schemi attuali vengono modificati per adattarli ai nuovi dati. Queste due funzioni complementari che garantiscono l’equilibrio (dinamico), determinano l’adattamento dell’organismo all’ambiente.

Adattarsi all’ambiente significa inoltre avere quei pre-supposti, quell’universo di ovvietà da non dover porre continuamente in dubbio per poter mantenere l’omeostasi e risparmiare energie.

L’adattamento presuppone quindi la presenza di un mondo quotidiano, familiare, un essere-nel-mondo nel quale (Hinnen) sentirci a casa. Ma come si forma questo mondo quotidiano?

Nicola Carboni

 

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