Gli ATTEGGIAMENTI come RAPPRESENTAZIONI SOCIALI

La creazione del MONDO QUOTIDIANO. Un approccio di dialogo fra PSICOLOGIA e FILOSOFIA. Gli ATTEGGIAMENTI come RAPPRESENTAZIONI SOCIALI – parte 3

Prima di andare avanti e proprio per il numero degli argomenti trattati, è bene fare un breve riassunto delle conclusioni parziali a cui siamo fin ora giunti…
 

Gli ATTEGGIAMENTI come RAPPRESENTAZIONI SOCIALI – parte 3

Nell’articolo precedente abbiamo analizzato gli atteggiamenti in un’ottica allargata come rappresentazione sociale che seguendo le indicazioni dello psicologo sociale Serge Moscovici abbiamo definito come “una serie di concetti, asserti e spiegazioni che nascono nella vita di tutti i giorni, nel corso delle comunicazioni interpersonali. Esse sono, nella nostra società, l’equivalente dei miti e delle credenze nelle società tradizionali; possono essere addirittura considerate la versione contemporanea del senso comune “. Attraverso tali rappresentazioni collettive, credenze condivise da un gruppo di persone, abbiamo gettato un ponte tra ponte tra l’aspetto cognitivo e individuale e quello sociale. Come ben sottolineato da Heidegger in “Essere e Tempo” il nostro esser-ci [Da-sein] è per sua costrituizione un co-esserci [Mit-Da-sein].

Aver toccato di sfuggita la dimensione sociale apre le porte alle ultime riflessioni di questo lungo studio sulla creazione del mondo quotidiano che si configura come un mondo condiviso.

Prima di andare avanti e proprio per il numero degli argomenti trattati, è bene fare un breve riassunto delle conclusioni parziali a cui siamo fin ora giunti.

L’incipit è stato questa frase tratta dalla Repubblica di Platone :

«Prova a immaginare degli uomini in una caverna […] Che strana [Ατοπου] questa immagine e che strani[ άτόπους] questi prigionieri» Rep, VII 514a 2-3; 515a4-5.  Abbiamo definito  Ατοπου ciò che ci strappa (per mezzo della meraviglia, dalla dimensione del Τοπος, il pre-supposto che non è necessario indagare in quanto già-dato nella dimensione della sua regolarità e ovvietà.

Filosoficamente poi abbiamo posto come tema della ricerca questa stessa ovvietà seguendo lo stesso Platone allorché attraverso le parole di Socrate, a Glaucone (uno dei protagonisti del dialogo), risponde: sebbene quei prigionieri siano strani –  άτόπους – sono Ομοίους ήμίν “simili a noi”.

I prigionieri della caverna, incatenati e costretti fin dalla nascita a osservare passivamente le ombre delle cose proiettate sulla parete, non hanno nemmeno la possibilità di immaginare che la realtà possa essere diversa, non hanno la possibilità di un pensare altrimenti. La stessa Possibilità per loro è contratta di Necessità e Ovvietà. In questo senso i prigionieri non solamente sono simili a noi, ma siamo noi allorquando all’ovvietà ci leghiamo come unica guida, quando ci ancoriamo a un’unica realtà, a un pensiero unico. A tale condizione diamo nome di naturalizzazione che possiamo definire, in maniera sintetica, come una incapacità di vedere il mondo con altri occhi. É quel processo che ci fa accettare il mondo così come è nella forma del già-dato pre-riflessivo, senza alcuna forma di sospetto che le cose possano essere in maniera differente. Ci siamo chiesti se questo processo fosse sottostante a precise funzioni psicologiche di funzionamento della mente umana. Attraverso le analisi delle funzioni della mente (attenzione, apprendimento, memoria) abbiamo estrapolato tale schema.

La naturalizzazione:

  1. É un atteggiamento naturale perché si fonda su meccanismo di funzionamento psicologico
  2. É da ascrivere in tutti quei processi automatici che fanno parte dell’inconscio cognitivo
  3. In quanto processo automatico non richiede la consapevolezza (si accetta così come è in quanto già-dato)
  4. In quanto processo automatico è rapido, avviene senza sforzo
  5. Permette di risparmiare energie quindi funzionale per il mantenimento dell’essere umano in quanto essere biologico
  6. ha funzione di adattamento al mondo circostante.

Tutto questo ha una controparte nel sistema cognitivo. In Pensieri lenti e veloci, Danil Kahneman avanza l’ipotesi di due processi di pensiero distinti: il Sistema 1 e il Sistema 2.

Il Sistema 1 è descritto come intuitivo, basato su processi largamente inconsci, automatico, veloce; una sorta di sistema esperienziale che prevede elaborazioni esclusivamente euristiche, associative, che non richiede un utilizzo massiccio  di risorse cognitive.

Il Sistema 2 è un sistema potenzialmente razionale, algoritmico, consapevole, controllato, relativamente lento, con elaborazioni di tipo analitico, basato su regole o sulla costruzione di modelli mentali e che richiede l’utilizzo di maggiori risorse cognitive.

Le euristiche che fanno parte del Sistema 1 sono:

  1. naturali in quanto fanno parte del nostro sistema cognitivo
  2. processi automatici dell’inconscio cognitivo
  3. in quanto processo automatico non richiede consapevolezza
  4. in quanto processo automatico è veloce, avviene senza sforzo
  5. permettono di risparmiare energie cognitive

Appare chiaro come tutte quelle funzioni psicologiche che abbiamo analizzato (attenzione, memoria, apprendimento) ricadano nel Sistema 1 e, proprio in tale Sistema, dobbiamo cercare l’origine di quell’atteggiamento verso il mondo verso il quale la filosofia si pone nella sua opera di sospetto e eversione.

Risulta altresì chiaro come quello stesso processo di naturalizzazione risiede in una possibilità del nostro sistema cognitivo.

Quando si parla di sistema cognitivo si parla soprattutto di concettualizzazione. Per sistema concettuale si intende l’insieme dei concetti depositati nella nostra memoria a lungo termine [MLT] (in maniera più specifica nella memoria semantica) per mezzo dell’apprendimento. Ogni concetto è la rappresentazione mentale di un insieme di oggetti o eventi (categoria) e delle proprietà loro associate.

La categorizzazione è il processo attraverso cui uno stimolo viene “riconosciuto” e ricondotto alla categoria corrispondente, anche se non abbiamo mai fatto esperienza di quello specifico esemplare. Tale processo può essere deduttivo (se utilizziamo regole) o abduttivo (se utilizziamo somiglianze). Secondo  la teoria dei prototipi [E. Rosch 1973]  il sistema cognitivo è in grado di astrarre, a partire di tratti comuni dei vari esemplari osservati, uno schema o prototipo del concetto.  Secondo tale teoria una categoria è rappresentata nella mente da un prototipo, una rappresentazione di uno o più esemplari medi non necessariamente esistenti. Il prototipo non sarebbe altro che un elenco di attributi frequentemente osservati nei suoi esemplari, pur non essendo necessariamente presente in tutti. Attributi che possono essere tipici, che formano una tendenza centrale, ma nessuno di essi ha carattere di necessità. Si parla di cue validity (validità di indizio) per indicare la salienza di un attributo per consentire di riconoscere un oggetto come appartenente o non appartenente a una determinata categoria. Si parla di attributi ad alta e bassa diagnosticità. Il riferimento a una “media” tra esemplari suggerisce che la logica di riferimento non sia quella logico-deduttiva del calcolo proposizionale, ma quella probabilistica.

Gli schemi cognitivi  sono reti di conoscenze organizzate e interconnesse, costrutti mentali stabili e soggettivi che agiscono come filtri nella percezione del mondo circostante e che vengono usati per individuare, codificare, differenziare e assegnare significati alle informazioni provenienti dal mondo esterno.

Gli schemi cognitivi influenzano pervasimamente i nostri pensieri e le nostre azioni. Quando osserviamo un evento, non registriamo passivamente l’informazione, ma la fissiamo attivamente all’interno di cornici di riferimento mentali preesistenti che guidano le nostre inferenze successive. In questo senso gli schemi cognitivi sono un mezzo per creare quella stabilità grazie alla quale possiamo fare del mondo esterno, il mondo in cui sentirci in casa, nel quale le cose “stanno al loro posto”, o usando il termine greco, le cose hanno il loro Τοπος.

Allo stesso modo gli atteggiamenti, la tendenza psicologica che viene espressa (attraverso una valutazione) circa una particolare entità in maniera favorevole o sfavorevole, agiscono come schemi cognitivi.

Tassello dopo tassello abbiamo analizzato filosoficamente e psicologicamente come si costruisce il mondo del quotidiano. Tuttavia, l’estensione di tali ragionamenti dalla sfera individuale a quella sociale, induce una nuova serie di problematiche.

Le rappresentazioni sociali nella loro funzione normativa ovvero di creazione dell’identità sociale dei gruppi, funzionano come schemi cognitivi sociali.

Nella sfera del sociale la filosofia deve assumere quell’atteggiamento di critica, di dubbio che incrina la dimensione dell’ovvietà, di ciò che è accettato in maniera acritica e non riflessiva.

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi di produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale” [K. Marx. L’ideologia tedesca]

Nicola Carboni

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