Il valore predittivo degli atteggiamenti

La creazione del MONDO QUOTIDIANO. Un approccio di dialogo fra PSICOLOGIA e FILOSOFIA. Il valore predittivo degli atteggiamenti – parte 2

In questa parte analizzeremo le principali teorie circa il valore predittivo degli atteggiamenti per il comportamento,  se e in quale misura esiste una relazione tra ciò che siamo e ciò che facciamo ovvero quanto il nostro universo cognitivo influenzi la nostra praxis, il nostro agire concreto nel mondo…
 

9IL VALORE PREDITTIVO DEGLI ATTEGGIAMENTI

Nella parte precedente abbiamo introdotto il concetto di atteggiamento definendolo come la tendenza psicologica che viene espressa (attraverso una valutazione) una particolare entità in maniera favorevole o sfavorevole e include al suo interno tre componenti, cognitiva (la credenza verso l’oggetto), comportamentale e affettiva mostrando come vi sia una correlazione con la nozione di schema cognitivo.

In questa parte analizzeremo le principali teorie circa il valore predittivo degli atteggiamenti per il comportamento,  se e in quale misura esiste una relazione tra ciò che siamo e ciò che facciamo ovvero quanto il nostro universo cognitivo influenzi la nostra praxis, il nostro agire concreto nel mondo. In altre parole, ancora quali sono le determinanti psicologiche, che sono per lo più inconsce, che intervengono nella creazione del mondo quotidiano.

Il primo studio sulla possibilità di predizione degli atteggiamenti fu condotto da Richard La Pierre nel 1934. Nella prima fase di studio viaggiò per gli Stati Uniti con una coppia di cinesi e visitò circa 250 hotel. Solo una volta alla coppia venne negato il servizio. Nella seconda fase di studi inviò agli stessi gestori degli alberghi chiedendo loro se avessero ospitato nella loro struttura una coppia di cinesi. Sorprendentemente il 90% rispose negativamente.

Negli anni 60 ulteriori studi condotti da Allan Wicker sembrarono ridimensionare il potere predittivo degli atteggiamenti sul comportamento. Tuttavia, la ricerca più contemporanea ha spostato il baricentro della domanda da “se gli atteggiamenti sono predittivi” – in generale – “quando gli atteggiamenti sono predittivi “ponendo in rilievo il livello di specificità degli atteggiamenti e dei comportamenti. Gli studi che evidenziavano un rapporto debole (come quelli di La Pierre) utilizzavano misure di atteggiamenti generali (atteggiamento verso asiatici) per valutare comportamenti specifici (accogliere nella struttura alberghiera).

Gli psicologici sociali Icek Ajzen e Martin Fishbein hanno invece evidenziati una notevole capacità predittivi fra atteggiamenti specifici e comportamenti e comportamenti a essi collegati.

La teoria da essi proposta è chiamata TRA [Theory of Reasoned Action] o Teoria dell’azione ragionata secondo la quale specifiche intenzioni di mettere in atto un certo comportamento sono buoni fattori predittivi di comportamenti specifici.

La Tra è una teoria generale del comportamento umano basata sulla relazione fra tre componenti:

  1. atteggiamento verso lo specifico comportamento
  2. norme soggettive ovvero l’esito di ciò che la persona pensa che gli altri si aspettino (contesto sociale)
  3. comportamento messo in atto

 

In particolare, suppone che il comportamento effettivo dipenda direttamente dall’intenzione di adottare tale comportamento e tale intenzione è legata all’atteggiamento verso lo specifico comportamento e dal giudizio circa l’eventualità che gli altri significativi si aspettino dal soggetto quello specifico comportamento e dalle credenze relative alle conseguenze (in termini di costi/benefici) dell’adozione del comportamento e dalla valutazione di tali conseguenze.

Tuttavia, la TRA è stata oggetto di numerose critiche poiché sembra presupporre che il comportamento sia sempre sotto il controllo volitivo delle persone senza tener conto degli aspetti situazionali e presuppone un modello di razionalità perfetta basata su un calcolo perfettamente razionale dei costi/benefici delle diverse alternative in azione.

Per far fronte a queste criticità Ajzen e Madden nel 1986 hanno proposto la TPB [Theory of Planned Behaviour], la Teoria del comportamento pianificato secondo la quale l‘atteggiamento verso il comportamento, le norme soggettive, la percezione di controllo (ovvero la credenza soggettiva circa la facilità o di difficoltà di eseguire un particolare comportamento), determinano le intenzioni che a loro volta determinano il comportamento.

Un’evoluzione dei modelli di previsione del comportamento è avanzata da Bagozzi e Warshaw [1990] in cui il proposito è analizzare gli scopi comportamentali. Quando si considerano gli scopi, tra l’intenzione e l’esecuzione, possono intervenire dei fattori aggiuntivi, quali il grado in cui l’individuo cerca di raggiungere lo scopo. In questo senso il provare diventa una manifestazione comportamentale dell’intenzione dell’individuo. Il provare a raggiungere uno scopo è determinato dall’intenzione di provare, che a sua volta è determinata dall’atteggiamento e dalla norma sociale verso il provare stesso. In questa teoria vengono incorporati anche gli effetti del comportamento passato attraverso due variabili: 1. recenza passata (che può indurre ai bias della disponibilità e dell’ancoraggio); 2. frequenza

Ulteriori studi hanno esteso la TPB introducendo il concetto di peso delle abitudini e del comportamento passato che, nel caso di condotte molte frequenti, risultano predittori molto efficaci. In altri termini, laddove ci si trovi di fronte a situazioni familiari, l’adozione di un certo tipo  di comportamento, è automatico.

Per rendere conto di una gamma più vasta di comportamenti – quelli intenzionali così come quelli automatici e del loro rapporto con gli atteggiamenti, il noto sociologo Fazio propone un modello a due vie che chiama MODE [Motivation and Opportunity as Determinants] che  concepisce l’atteggiamento come un’associazione esistente in memoria tra un dato oggettivo e la valutazione  che la persona attribuisce a esso. L’accessibilità dell’atteggiamento è la loro forza di associazione. Più l’atteggiamento è velocemente accessibile alla memoria tanto più guiderà i processi cognitivi e influenzerà il comportamento. Gli atteggiamenti accessibili influenzano le percezioni dell’oggetto di atteggiamento, favorendo i giudizi coerenti con gli atteggiamenti circa le informazioni rilevanti. In altre parole, gli atteggiamenti hanno la stessa funzione degli schemi cognitivi.

Il modello MODE individua due differenti percorsi:

  1. Modalità di elaborazione volontaria caratterizzata, al pari di un algoritmo, da sforzo cognitivo. Motivazione e opportunità sono condizioni fondamentali affinché gli atteggiamenti influenzino il comportamento. In questo caso si parla di atteggiamenti espliciti, ovvero valutazioni e opinioni che le persone detengono in maniera consapevole
  2. Modalità di elaborazione spontanea nei quali la variabile cruciale è l’accessibilità. Gli atteggiamenti facilmente accessibili possono essere attivati automaticamente e influenzare il comportamento. In questo caso si parla di atteggiamenti impliciti ovvero cognizioni spontanee e inconsapevoli.

Interessante è notare come variabili correlate alla facilità di accessibilità siano la familiarità, la reiterazione con la quale gli atteggiamenti vengono messi in pratica, e la “forza” dell’atteggiamento stesso, ovvero l’importanza che ha l’atteggiamento per la costituzione del “concetto di ” ovvero l’insieme dei pensieri e dei sentimenti che definiscono ciò che ciascuno di noi ritiene di essere.

Secondo la Teoria del Giudizio Sociale [1952] di Hovland – Sherif, infatti, gli atteggiamenti verso un oggetto non sono rappresentati da un continuum da punto negativo a un polo positivo, ma sono suddivisi in tre aree: rifiuto – indifferenza- accettazione. Le informazioni che ricadono nell’area di accettazione vengono percepite come più congeniali al proprio atteggiamento, mentre le informazioni che ricadono nell’area di rifiuto, vengono percepite come più incoerenti con il proprio atteggiamento. Solitamente l’area di accettazione è connessa con aspetti importanti del .

Se, come abbiamo visto, gli atteggiamenti sono assimilabili agli schemi e gli schemi  cognitivi sono fondamentali per la costituzione del mondo del quotidiano che abbiamo definito, seguendo le grammatiche platoniche, Τοποι, allora possiamo notare come la costruzione di quello stesso mondo del quotidiano va di pari passo con la costruzione del mondo interiore, rappresentato dal sistema del .

Il Mode è un modello due vie tra esse parallele e alternative. Secondo un altro modello, l’APE (Modello di valutazione affettivo e proposizionale)  lo stesso oggetto può avere una valutazione diversa (positiva e negativa), e quindi produrre un comportamento, a seconda della configurazione attivazionale di stimoli da cui è stata attivata.

Secondo questo modello atteggiamenti impliciti e espliciti possono essere compresi a partire dai loro processi sottostanti: processi associativi per quelli impliciti, processi proposizionali per quelli espliciti.

I concetti fondamentali di tale teoria sono quattro: 1. La memoria associativa depositata nella MLT; 2. l’attivazione; 3. la valutazione; 4. valore di verità.

I processi associativi sono reazioni affettive e automatiche risultato di particolari associazioni attivate autonomamente quando un individuo incontra uno stimolo pertinente. L’attivazione di particolari associazioni è determinata dalla combinazione di una struttura associativa depositata in MLT e una configurazione di stimoli in input. Inoltre, i processi associativi sono indipendenti dal valore di verità ovvero l’attivazione, la reazione affettiva avviene prima del giudizio.

Il processo proposizionale “trasforma” gli input derivanti dal magazzino associativo in proposizioni per stabilire giudizi basati su inferenze e quindi dipendenti dai valori di verità.

Dopo aver ragionato intorno ai modelli che descrivono la correlazione fra atteggiamenti e comportamento, su come l’aspetto cognitivo e affettivo producono comportamenti nel mondo esterno, dobbiamo fare un ulteriore passo in avanti. Come abbiamo già visto la creazione del mondo del quotidiano è anche e contemporaneamente la creazione di un mondo condiviso, un mondo che, per usare le grammatiche heideggeriane di Sein und Zeit, non solo è un In-der-Wel-sein ma anche un Mit-Da-Sein, Un co-esserci a livello non solo categoriale ma esistenziale, un mondo nel quale, per via del suo essere comune, l’essere umano possa comunicare quindi intendersi e comprendersi anche nella forma dell’impersonale “si” – si dice; si pensa –

Nella prossima parte quindi analizzeremo come gli atteggiamenti possano espandersi dalla dimensione individuale a quella sociale.

Nicola Carboni

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