LA DECISIONE - Algoritmi ed euristiche - Due modelli a confronto - parte 1

La creazione del MONDO QUOTIDIANO. Un approccio di dialogo fra PSICOLOGIA e FILOSOFIA. LA DECISIONE – Algoritmi ed euristiche – Due modelli a confronto – parte 1

Nella parte precedente abbiamo…
 

LA DECISIONE – Algoritmi ed euristiche – Due modelli a confronto parte 1

Nella parte precedente abbiamo introdotto il concetto di algoritmo inteso come schema o procedimento sistematico di calcolo e di euristica intesa come una strategia volta a trovare una soluzione non ottimale ma “abbastanza buona” in un’ottica di razionalità limitata.

La decisione, intesa come scelta consapevole tra almeno due possibilità, è strettamente intrecciata con il concetto stesso di razionalità umana. In che misura e in quali situazioni gli esseri umani tendono a essere più razionali? Parlare della razionalità, seguendo le orme di Aristotele, significa, in ultima analisi, parlare dell’essenza stessa, eidos, dell’uomo definito come Zoon echon logon, animale razionale.

In questa parte vedremo, attraverso l’analisi della decisione attraverso l’approccio normativo e l’approccio descrittivo,  una applicazione pratica di algoritmi e euristiche al fine di chiarificare questi due concetti

 

L’APPROCCIO NORMATIVO

Obiettivo dell’approccio logico-normativo, sviluppato da economisti e matematici, è l’individuazione di formalismi per definire le scelte razionali ovvero ottimali per l’agente che li adotta.

Von Neumann e Morgenstern nella loro opera Teoria dei giochi e comportamento economico (1947), formalizzarono la Teoria dell’utilità attesa per descrivere il comportamento decisionale. Introducono dei criteri di coerenza interna:

  1. Principio della transitività: se in una scelta un agente preferisce un esito A a un esito B e un esisto B a un esito C, allora dovrà necessariamente preferire l’esito A all’esito C
  2. Principio della dominanza: se in una scelta l’alternativa A è preferita all’alternativa B in tutte le configurazioni possibili, allora necessariamente A sarà preferita a B, a prescindere dalla configurazione presente.
  3. Principio dell’invarianza: l’ordine delle preferenze tra opzioni di scelta non varia a seconda del modo in cui sono presentate
  4. Principi dell’indipendenza: l’ordine delle preferenze tra opzioni di scelta è indipendente dalle alternative irrilevanti.

Se le preferenze di un agente soddisfano questi principi di razionalità, allora è possibile definire una sua funzione di utilità U(x) monotona, crescente e continua, tale per cui se l’opzione A è preferita all’opzione B, allora l’utilità di A e maggiore di quella di B: U(a) > U(b)

Il modello di razionalità “perfetta” descritta da tale teoria corrisponde alla razionalità realmente operante? In altre parole, l’homo oeconomicus descrive il reale agire decisionale umano?

Da un punto di vista puramente logico-matematico, questo è un falso interrogativo perché una formalizzazione è tale in quanto non deve necessariamente corrispondere a evidenze empiriche (e, in effetti, non esiste alcuna prova empirica a suffragio degli assiomi sopra elencati).

Le formalizzazioni hanno una intima contraddizione: dovrebbero descrivere il comportamento degli esseri umani in assenza di fattori umani che influenzano le scelte.

Secondo Simon un modello “olimpico” di comportamento come quello descritto dalla Teoria dell’Utilità attesa, un modello di tipo algoritmico, non soddisfa la complessità del mondo e non è applicabile alle singole decisioni individuali. L’attività cognitiva dei singoli decisori è caratterizzata da razionalità limitata poiché esistono numerosi limiti (secondo il punto di vista formale) di tipo culturale, emotivo e sociale che intervengono nell’atto della decisione.

La visione di Simon ha stimolato una serie di ricerche che si sono focalizzate sulle deviazioni del comportamento umano dagli assiomi della Teoria dell’Ua, per esempio Tversky (1969) sulla violazione del principio dell’intransività delle preferenze e Lichtenstein e Slovic (1971,1973) sulla violazione del principio di invarianza.

 

L’APPROCCIO DESCRITTIVO

L’approccio descrittivo ha come obiettivo descrivere il modo in cui gli esseri umani effettivamente ragionano, prendono decisioni, esprimono giudizi. Il più importante tra i vari modelli è la Teoria del prospetto (PT) di Kahnemann e Tversky: l’idea alla base è che gli individui valutino le alternative di scelta in termini di scarto da un punto di riferimento e che queste valutazioni differiscano a seconda del fatto che si tratti di guadagni o di perdite a partire da tale punto. Ad esempio, un medesimo prospetto può avere utilità diverse per un decisore a seconda che i suoi possibili esiti siano visti come guadagni o perdite. Da un punto di vista psicoanalitico di matrice freudiana tali guadagni possono anche essere secondari.

Secondo la Teoria del prospetto il processo decisionale si articola in due fasi: la strutturazione del problema e la valutazione.

La strutturazione procede attraverso sei operazioni: 1. codifica (in termini di guadagno o perdita rispetto al punto di riferimento); 2. segregazione (separare le decisioni che implicano rischi da quelle che non li implicano); 3. cancellazione (di alcuni prospetti decisionali ridondanti); 4. combinazione (delle varie scelte che portano a esisti simili); 5. semplificazione; 6. rilevazione di dominanza (individuazione delle alternative che prevalgono sulle altre).

Nella fase di valutazione si confrontano i diversi prospetti decisionali e si sceglie quello con il valore soggettivo più alto. Il valore è assegnato a ogni opzione attraverso una particolare funzione valore.

Oltre al valore, nell’atto decisionale intervengono altri due aspetti: il peso decisionale e la rappresentazione decisionale.

Il peso decisionale è il modo in cui gli individui considerano le probabilità – soggettive – associate agli esiti di una scelta.

Il terzo elemento fondamentale della Pt è la rappresentazione mentale del problema decisionale strettamente connesso alla fase di strutturazione del problema. Alcuni cambiamenti nei punti di riferimento (e di preferenze) sono causati da un effetto di incorniciamento (framing effects). Tversky e Kahnemann parlano di una cornice cognitiva (decision frame) secondo la quale un problema decisionale può portare a degli esiti diversi a seconda di come viene “incorniciato” il problema. Un esempio molto famoso è Il problema della malattia asiatica.

Si immagini che sia necessario seguire un programma sanitario per fronteggiare una malattia che, secondo le previsioni, porterà alla morte di 600 persone.

Ad un primo gruppo viene presentata la  Versione 1 (frame positivo)

  1. se verrà adottato il programma A, 200 persone saranno salvate
  2. se verrà adottato il programma B, c’è 1/3 di probabilità che 600 persone si salveranno e 2/3 di probabilità che nessuno si salverà

Ad un secondo gruppo invece viene presentata la Versione 2 (frame negativo)

  1. se verrà adottata il programma C, 400 persone moriranno
  2. se verrà adottato il programma D, c’è 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 che muoiano 600 persone.

Nonostante l’equivalenza delle proposte, nel frame positivo la maggioranza delle persone sceglieva l’opzione certa (programma A), mentre nel frame negativo veniva scelta l’opzione più rischiosa (programma D). Le scelte dipendevano dall’incorniciamento, dalla strutturazione cognitiva, con il quale veniva presentato il problema.

L’effetto incorniciamento è un esempio di deviazione del comportamento decisionale degli individui rispetto a quei principi descritti dall’approccio normativo, in maniera particolare dal principio di invarianza.

Nicola Carboni

 

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