La relazione io (me) – tu (l’Altro da me)
in Carl Gustav Jung
In queste note ad ampio spettro ci muoveremo dentro un vasto territorio che comprende erudizione letteraria e alchemica, misticismo religioso, psicologia analitica e spiritualismo orientale. Ovviamente non ci sarà alcuna presunzione di essere esaurienti ma si proporranno solo alcuni spunti di riflessione, principalmente sorti durante la lettura de Il Libro Rosso-Liber Novus (Torino, 2012).
Una relazione autentica si dà unicamente nell’amore quando vi è accettazione compassionevole di sé ed eguale accoglienza e comprensione dell’altro. La relazione amorosa autentica non muove solamente dalla passione e dall’attrazione, ma nasce dall’incontro profondo di due anime che si cercano reciprocamente, che si comprendono e si sostengono. Ogni individuo sta con la propria Anima di fronte ad un’altra Anima e con questa si relaziona sia essa interna e personale sia essa altrui, singola o collettiva. Qui è necessaria un’avvertenza. Il Libro Rosso è un doloroso e sofferto viaggio non tanto alla riscoperta di sé quanto al reinventare sé stessi per ritrovare la chiave di accesso a quel Sé cui ciascuno è predestinato ad essere (in base all’Archetipo che ci guida o, secondo Hillman, in base alla “ghianda” da cui proveniamo). Trattasi dunque di un viaggio in solitaria, un percorso che prevede la necessaria discesa negli abissi e negli orrori dell’inconscio per poi poter ascendere, purificati e veri (l’accostamento dichiarato va al viaggio compiuto da Dante, al Faust di Goethe, ma anche alla trasmutazione alchemica e alla nascita dell’ordine dal disordine caotico in Nietzsche). Va detto, inoltre, che la solitudine dolorosa dietro a questo percorso di autoanalisi è frutto dell’incontro di due tangenti: una esistenziale e la si ritrova netta rottura e nell’allontanamento insanabile dalla psicosessualità di Freud, l’altra sta nel forte distacco avvertito da Jung verso lo spirito del tempo, lo Zeitgeist (tendenza culturale in grado di incidere sulla formazione della mente, sulla moralità, sui valori della società e dei popoli che purtroppo si stavano consegnando alla brutalità e agli orrori della Prima Guerra Mondiale facendo emergere con ciò l’anima oscura e violenta della coscienza collettiva).
Ma torniamo all’anima. L’Anima è in grado di integrare logos ed eros ma può farlo nella solitudine, nell’ascolto interiore, in una sorta di sintesi di immaginazione attiva di auto-conoscenza. In questo processo analitico molto simile alla meditazione orientale ma presente anche nella relazione terapeutica, l’individuo si rende conto dell’inadeguatezza del linguaggio usato per comprendere e intuire la totalità ma anche per spiegare e mettere in relazione significativa i fenomeni inconsci emersi. Il logos, ovvero la comprensione, l’intuizione, in altri termini, la parola e la ragione, l’equilibrio e la saggezza, sono espressione e proprietà del profeta Elia, rappresentante vivente dell’inconscio collettivo e del Sé (p. 64). A questi si contrappone la figura di Salomè, l’eros, depositaria di spontaneità e istinto sensuale, raffigurata da una fanciulla cieca, simbolo di passione irrazionale e incontrollata. Logos ed eros sono principi contrapposti ma non inconciliabili. Scrive Jung:- I pensatori fondano il mondo sul pensiero. Coloro che sentono lo fondano sul sentimento. In entrambi trovi verità ed errore […] Chi preferisce pensare piuttosto che sentire fa marcire nell’oscurità il proprio sentire (p. 68 e 70). A permettere l’integrazione tra logos ed eros interviene l’amore (compassione verso sé stessi e accettazione dell’altro) di cui trasuda l’Anima. Avverte Jung però che solo le immagini incontrate nel cammino di auto-scoperta interiore possono raccontare i contenuti dell’anima (p.11). Se pensare è un gesto solitario (si pensa stando da soli con sé stessi), e se amare, invece, è uno slancio verso l’altro stando insieme all’altro, come e dove si può trovare la conciliazione tra i due poli contrapposti? Jung risponde che ” se sopraffai e uccidi il prossimo che si avvicina a te, allora uccidi quell’uomo anche dentro di te, e hai così assassinato una parte della tua vita“(p.87). A ciò si giunge mediante la riappacificazione di sé con sé stessi e con gli altri (introspezione meditativa), e così facendo ci si rende conto che l’altro non va percepito come nemico ma come parte integrante e paritaria del tutto, della totalità che è universo interiore quanto esteriore, unità trascendente che può essere afferrata solo simbolicamente. Due sono le trasmutazioni attraverso cui rigenerarsi: amarsi e amare. Attraverso il confronto con l’Altro, l’individuo può riconoscere e integrare parti di sé proiettate sull’amato/a, favorendo una maggiore completezza interiore. Attraverso l’amore l’individuo impara l’empatia, il compromesso e il superamento dei limiti dell’ego e del suo egoismo. L’amore è esperienza trasformativa che può condurre all’individuazione, il processo di realizzazione del Sé. Il processo di individuazione non è però il raggiungimento di un fine, semmai un continuo dialogo tra parti frammentate di sé e del mondo, di me e del fuori-di-me, movimento perpetuo verso una totalità mai completamente raggiungibile perché confronto continuo con un insieme di eventi personali e collettivi, talvolta sincronici. La meta è una rivisitazione di sé stessi alla scoperta del vero Sé, e non l’incontro coi tanti me in cui si frammenta e frantuma l’io. Solo così può avvenire un cambiamento interiore, e ogni cambiamento trasforma anche il volto del mondo. Il viaggio negli abissi delle proprie sofferenze e colpe, dei propri nodi irrisolti e tenuti nascosti non avviene nell’ambito di una affascinante per quanto desertica e improduttiva solitudine, bensì nella sempre maggiore consapevolezza dell’interdipendenza tra gli esseri umani. Il viaggio mistico-terapeutico verso l’affermazione del Sé non si conclude se non con la partecipazione alla vita sociale. La vita psichica, secondo Jung, è un sistema autoregolantesi che riesce a raggiungere un suo equilibrio, per quanto instabile, nell’accettazione dell’esistenza di una sintesi unificante, di una fusione armonica tra opposte polarità, tra opposti e contrari (p.321). È la cosiddetta coniunctio oppositorum, di cui si trova traccia nella letteratura alchemica. Così come avviene nel processo alchemico, le polarità presenti nella psiche di ogni individuo tendono a dialogare e a fondersi in un’unità superiore, la coniuctio oppositorum appunto. Razionalità e pulsionalità, maschile e femminile, conscio e inconscio, logos ed eros, ma lo stesso vale per la polarità dei due termini della relazione terapeutica cliente e analista, in quanto processi relazionali tendono alla totalità, raggiungibile sempre e comunque attraverso l’Anima che, in conclusione, non può esistere senza la sua controparte, il Tu (U. Galimberti, Enciclopedia di psicologia, 2002).
Nella psicologia analitica di Jung l’Anima, partecipe della psiche fa da ponte tra conscio e inconscio, diventando mediatrice tra l’io e il Sé. L’Anima è un archetipo. È una guida che conduce e accompagna l’individuo nel processo di individuazione, il viaggio interiore verso la realizzazione del Sé. Da notare che il Sé junghiano è il prodotto mai conclusivo della trasformazione interiore e del raggiungimento dell’unità col tutto, una sorta di pietra filosofale, simbolo integratore di corpo, anima e spirito, in cui ogni dualità viene superata.
Nella tradizione alchemica in cui Jung trova conforto e sostegno alle sue intuizioni, l’anima è uno dei tre componenti fondamentali dell’individuo e della materia, accanto al corpo (aspetto materiale) e allo spirito (forza vitale). Tanto nel processo alchemico quanto nell’ottica junghiana l’Anima è un nucleo trasformante, proteso a cercare l’armonia interiore tra l’io e le sue varie manifestazioni (il me) e l’unione col divino e l’assoluto. Si può desumere qui che il tutto avvenga anche nell’accoglienza dell’Altro-da-me ma nel Libro Rosso manca questo passaggio in quanto l’altro pare essere già risolto nel me.
Saper riconoscere la propria anima, saperci convivere, rafforza la costruzione della personalità, in perenne conflitto tra la maschera (la persona), indossata sotto la spinta psicosociale delle forze contestuali (gli altri e l’ambiente con le sue convenzioni) e la vera natura dell’essere umano, natura che si acquisisce affrontando l’Ombra, archetipo essenziale a conseguire l’individuazione che in Psicologia e alchimia (1961) Jung definisce come “pulsione a realizzarsi individualmente”. L’incontro e la conoscenza con l’Ombra, per quanto sgradevole e spaventoso possa essere questo evento necessario, sottraggono l’individuo agli stereotipi negativi della collettività. Gli consentono di riconoscersi portatore di un valore unico e, in tal modo, forte di questa autostima, egli può esprimere una maggiore tolleranza verso l’altro e può sperare altresì di instaurare relazioni autentiche (Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934/1954). Ma dov’è che è possibile sperare di incontrare la propria Anima? Nel prologo al Libro Primo del Libro Rosso Jung avverte in modo categorico che l’anima non sta dentro agli oggetti del desiderio, quindi fuori di noi, in quanto quelli sono prodotti dalla proiezione e dalla identificazione. L’anima potrebbe anche emanare dal desiderio a patto che l’essere umano non si lasci impadronire e impossessare dal desiderio stesso, come talvolta avviene nel transfert terapeutico o quando si esprime un giudizio troppo affrettato. L’anima, foriera anche di immagini negative e destabilizzanti, sta solo dentro la psiche dell’essere e funge da meccanismo unificatore fra l’io e l’inconscio trasmettendo il sapere dell’inconscio alla coscienza.
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