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Il Neuromarketing applicato alla politica

Il Neuromarketing applicato alla politica

Posted on: 16 Maggio 2016 Written by: neureka Categorized in: Neuro news
Secondo diversi studi spesso sono i giudizi immediati ad influenzare le decisioni degli elettori…
 

Per quanto ci si possa sforzare di analizzare razionalmente i candidati, valutarli, così da scegliere il migliore, il voto sembra influenzato più dalle caratteristiche fisiche e comportamentali del candidato. Tali influenze sono legate a scorciatoie mentali utilizzate che utilizziamo per prendere decisioni.

Secondo diversi studi infatti, spesso sono caratteristiche apparentemente superficiali e giudizi immediati ad influenzare le decisioni degli elettori.

Le tre I degli elettori

Daniel Oppenheimer, co-autore di ‘Democracy Despite Itself’, sostiene che ci sono tre ‘I’ che uniscono gli elettori: ignoranza, irrazionalità e incompetenza. Egli afferma che, come votanti, non riflettiamo sulle nostre convinzioni cardinali per poi cercare il candidato che meglio le soddisfa, piuttosto facciamo spesso il contrario: scegliamo il candidato che ci piace, sulla base di indizi molto soggettivi e superficiali, e, successivamente, plasmiamo le nostre convinzioni per soddisfare le nostre preferenze.

La maggior parte delle persone non ha un’idea chiara dell’opinione dei candidati su molte questioni; ciò sta a significare che la corrispondenza degli ideali decantata non è spesso reale quanto supposta.

Con questo non si vuole denunciare che i processi euristici di decisione sono necessariamente sbagliati, anzi, spesso portano a buoni esiti e sono espressione di un vantaggio evolutivo conquistato. ‘Solo che a volte non lo sono’ dice Oppenheimer.

Il tono della voce nella scelta di un candidato

Casey Klofstad, professore associato di scienze politiche all’Università di Miami, ha studiato come fattori sociali e biologici influenzano i processi umani di decision making. Lo scorso anno, in collaborazione con la moglie, biologa, specializzata nel canto degli uccelli, ha realizzato uno studio in cui, durante la sessione sperimentale, i soggetti erano invitati ad ascoltare voci, femminili e maschili, modificate, che dicevano ‘Ti esorto a votare per me a Novembre!‘; dopo, i partecipanti erano chiamati a prendere parte a delle finte elezioni e i risultati finali mostrano come ci sia una preferenza, sia maschile che femminile, a scegliere i candidati con una voce più bassa.

Tali risultati sono un’ulteriore dimostrazione del fatto che, spesso, sono caratteristiche apparentemente superficiali e giudizi immediati ad influenzare le decisioni dei votanti.

Lo spazio della comunicazione

La dimensione spaziale nella comunicazione non verbale va intesa come una determinata sistemazione dei partecipanti allo scambio comunicativo all’interno dello spazio, la distanza tra il mittente e il destinatario, il

È noto che i vari modi in cui i politici usano a proprio vantaggio lo spazio che hanno intorno costituiscono una potente arma persuasiva. L’attenzione ai gesti, il movimento del corpo, la mimica e le espressioni che un oratore può sfruttare per fare presa sul pubblico.

Tra i più importanti segnali corporali nella comunicazione politica ci sono i movimenti delle mani che, sostenendo il discorso, rafforzano il contenuto, precisano il messaggio e mantenendo il contatto con il destinatario del messaggio.

Come la fisionomia influenza il voto

Un’altra ricerca ha poi mostrato come la maggior parte dei presidenti americani abbia un’altezza superiore alla media e che i votanti tendano a scegliere i candidati più alti.

In altri casi, come emerso in uno studio del 2005, è lo sguardo del candidato a risultare decisivo. Lo psicologo Alexander Todorov presentò ai soggetti sperimentali le foto di due candidati e chiese di scegliere quello che sembrava loro più competente: più dei due terzi delle volte, il criterio di scelta dell’apparente competenza, da parte dei partecipanti, si basò sulla presenza di una mandibola squadrata o di uno sguardo intenso.

Il contatto visivo inoltre ha un notevole potenziale persuasivo, individua e contraddistingue l’interlocutore dal gruppo, perciò rende il messaggio più personalizzato, minimizza la distanza tra i partecipanti. Il contatto oculare diretto viene infatti percepito come indicatore delle qualità del parlante, trasmettendo al destinatario della comunicazione la sincerità e l’onestà del parlante.

Inoltre vi è un effetto primacy ben documentato nelle votazioni: i candidati che sono elencati prima sulla scheda elettorale ottengono, in media, il 2,3% di voti in più, rispetto a quando sono elencati più in basso sulla stessa.

A questo punto la domanda sorge spontanea: perché tutti questi ragionamenti superficiali? La spiegazione ha a che fare con i processi euristici di decisione o, più semplicemente, con le nostre scorciatoie mentali. Noi umani, infatti, abbiamo bisogno di usare il nostro cervello efficientemente e lo facciamo, riducendo la quantità di sforzo che passiamo a valutare ogni interazione, decisione o attività. Le euristiche ci aiutano a elaborare la mole di informazioni in cui ci imbattiamo ogni giorno; di conseguenza, prendiamo decisioni non spuntando faticosamente una lista di pro e contro, ma valutando le informazioni, o gli stimoli, che sono più facilmente disponibili.
Ci sono certamente casi in cui sono proprio le nostre scorciatoie o preconcetti a distorcere la verità e a farci cadere nei cosiddetti bias cognitivi.

L’immagine è tutto

I bravi politici conoscono bene la superficialità con cui gli elettori prendono gran parte delle loro decisioni, e questo è il motivo per cui, durante la campagna elettorale, vengono spesi tanto tempo ed energia per elaborare un’immagine efficace del candidato: anche quelli che sembrano disordinati o senza copione agli occhi di un profano, stanno probabilmente calcolando come mostrarsi ai loro elettori.

Di fronte a tutte queste propensioni implicite, ciò che possiamo fare è provare consciamente a remare contro alcuni dei nostri istinti più basici, e quindi, quando decidiamo di votare per un candidato, chiederci perché ci piace e con che cosa siamo d’accordo rispetto a quello che rappresenta. Insomma, invece di negare il nostro grado di superficialità innato, provare ad abbracciarlo e guidarlo.

Andrea Paci

Fonti academia.edu,stateofmind.it

 

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