Se il sorriso nella sua primaria espressione mimica è ovunque riconoscibile, l’esperire l’emozione gioiosa, ilare e buffa ha invece manifestazioni diverse per scarto generazionale e culturale.
Si dovrebbe così distinguere tra emozione e manifestazione fisiologica della stessa, tra emozione, la sua espressione linguistica e quella culturale. Nell’analisi della personalità e dell’affettività sono di estrema importanza per lo specialista gli stati psicologici ai quali si fa riferimento coi termini umore, stati d’animo (sentimenti) e soprattutto emozioni. Si ritiene in generale che le emozioni influenzino l’azione ed orientino l’organismo verso reazioni adattive, mentre l’umore dovrebbe influenzare essenzialmente la cognizione, variando i processi attentivi e motivazionali (Ekman & Davidson, 1994). Quattro sono le componenti e le funzioni dell’esperienza emozionale ed affettiva: i meccanismi fisiologici, le espressioni comportamentali, i sentimenti soggettivi e i meccanismi di valutazione cognitiva.
Le definizioni dell’emozione
Dopo tanti studi sull’eziologia psicologica delle emozioni J.A. Russel (1991) giunge alla conclusione secondo la quale l’emozione non si riferisce a un dominio specifico di fenomeni riconosciuti in tutte le culture e che l’area in cui si circoscrivono linguisticamente e concettualmente i fenomeni emozionali e quelli affettivi in genere, distinguendoli da quelli cognitivi, volontari e motivazionali, può non essere universale e oggettivamente fondata. Dare una definizione univoca di emozione è complicato se non impossibile. Russel (2003) ne individua le componenti funzionali: lo stato emotivo (core affect) è il più elementare stato affettivo consciamente accessibile. Ad esso sono connessi il tono dell’umore e la qualità affettiva. Lo stato emotivo non richiede oggetto diretto cui rivolgersi né alcun episodio emozionale prototipico il quale, invece, necessita sempre di una forte associazione con lo stato emotivo [È dal nucleo emozionale che scaturirebbero importanti derivazioni quali l’umore o stato d’animo, più attenuato dell’emozione sottostante ma di durata maggiore, e anche il temperamento seppur innato, inteso come propensione a evocare disposizioni emozionali basilari quali l’allegria, la tristezza, la malinconia, la timidezza].
La prima dimensione dell’emozione indica il suo essere uno stato soggettivo e passivo del sentire lungo l’asse piacere/dispiacere. Dal latino emotus l’emozione assume il significato di mosso, nel senso di spostato da un luogo a un altro o da uno stato all’altro. Di fatti, la seconda dimensione emozionale è legata al fatto di essere accompagnata da evidenti modificazioni somatiche, anche loro passivamente subite. Eppure ogni emozione, nella sua terza dimensione guidata e sorretta da pensiero, riflessione/ragionamento, valutazione/decisione, e infine, dall’espressione linguistica/comunicazione, si riferisce nel comune sentire a un agire attivo, tanto movimento interiore quanto fisico. Questa terza dimensione, in quanto modalità di coping, attribuisce all’emozione una funzione di adattamento e orientamento spaziali, relazionali, culturali la cui corrispondente terminologia tra le diverse lingue non è facilmente sovrapponibile (Galati et al. 1998). In sintesi, le interpretazioni del fenomeno emozionale possono essere ricondotte, da una parte, alla concezione biologica secondo la quale le risposte emozionali sono intese come reazione emotiva di emergenza che si attiva in presenza di situazioni problematiche importanti per la sopravvivenza dell’individuo, dall’altra, esse assumono una valenza culturale e sociale (Galati, 2008). È altresì vero che l’esperienza emozionale, nella sua complessità, esprime sempre un carattere soggettivo e individuale che, in quanto tale, si differenzia dai processi cognitivi e razionali, più intersoggettivi e più facilmente generalizzabili. Nella meccanica processuale delle emozioni ogni sentimento ha il suo distinto repertorio di pensiero, reazione e ricordi. La mente razionale necessita di maggior tempo rispetto alla mente emozionale per registrare percezioni e impressioni e di conseguenza valutarle: l’emozione che, ancora oggi, non ha una solida base scientifica ma solo di senso comune, appare dunque sempre come percezione immediata, attraversata dal pensiero cognitivo-riflessivo (la motivazione sul da farsi). Dan Siegel (2001) definisce così il processo emozionale: “ Le emozioni sono viste come flussi di energia, di stati di arousal e attivazione che coinvolgono il cervello e altri sistemi dell’organismo, e che a livello della mente influenzano l’elaborazione delle informazioni attraverso processi di valutazione dei significati […] la risposta emozionale corrisponde a quello che in genere si intende per emozione: la differenziazione degli stati di orientamento iniziale e di valutazione elaborativa e arousal in emozioni fondamentali , come rabbia, tristezza, disgusto, sorpresa, gioia, paura, vergogna” (pp. 156-157).
In neurologia e neuropsicologia
In neurologia e neuropsicologia, l’emozione viene descritta come un fenomeno accessuale di attivazione neurofisiologica che si innesca in modo automatico in situazioni critiche le quali richiedono una pronta, energica, decisa e rapida reazione da parte dell’organismo. Da qui deriva il concetto neurofisiologico di stress emotivo (Gazzaniga et al. 2005). Gli studiosi di queste discipline ritengono che gli emisferi cerebrali siano coinvolti in maniera differente nelle diverse emozioni: l’emisfero destro si attiva principalmente durante gli stati emotivi negativi, quello sinistro predomina in quelli positivi. Secondo LeDoux (2003) l’elaborazione emozionale e cognitiva dell’informazione passa attraverso l’attivazione di una via subcorticale (istintiva, emozionale) e di un’altra corticale (cognitiva, valutativa). Esisterebbero vari sistemi neurali preposti alle emozioni, sistemi distinti evolutisi per scopi funzionali diversi. Le emozioni capitano così come sentimenti e reazioni emotive sono per lo più inconsapevoli e dipendono dall’attività di un sistema neurale passibile di misurazione perché se è vero che la mente ha uno scarso controllo cosciente delle emozioni, queste, al contrario, interferiscono e agiscono di fatto sulla coscienza e sulla cognizione. Non tanto distante è la prospettiva psichiatrica che ritiene l’emozione una rottura dell’equilibrio dell’organismo. Questa rottura provocherebbe un dispendio eccessivo di energia ma soprattutto, ai livelli psichici superiori, avrebbe conseguenze dirompenti nel comportamento e nell’adattamento sociale (Ey et al. 1995).
Alessandro Bigarelli
BIBLIOGRAFIA
- Ekman, P., Davidson, R. J. (1994). The Nature of Emotion. Fundamental Questions. New York: Oxford University Press.
- Ey, H., Bernard, P., Brisset, C. (1995). Manuale di psichiatria, Milano: Masson.
- Galati, D., Massimini, F., Sini, B. (1998). Il lessico delle emozioni nelle lingue neolatine: confronto tra l’italiano e il francese. Ricerche di Psicologia, 22 (3/1998), pp. 57-82.
- Galati, D. (2008). Prospettive sulle emozioni e teorie del soggetto (2002). Torino: Bollati Boringhieri.
- Gazzaniga, M., Mangun, G.R., Ivry, R.B. (2005). Neuroscienze cognitive (1995). Milano: Feltrinelli.
- LeDoux, J. (2003). Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni (1995). Milano: Dalai Editore (Super Nani).
- Russel, J.A. (1991). Culture and Categorization of Emotions. Psychological Bulletin, 110, pp. 426-450.
- Russel, J.A. (2003). Core affect and the psychological construction of emotion. Psychological Review, 110 (American Psychological Association), pp.145-172.
- Siegel, D. J. (2001). La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Milano: Cortina, (pp. 281-282).
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