Le immagini sono il contenuto principale dei nostri pensieri, indipendentemente dalla modalità sensoriale in cui sono originati, e indipendentemente dal fatto che pensiamo a un oggetto o ai processi che riguardano gli oggetti, alle parole o ad altri simboli.
Damasio
Molto di quello che percepiamo quotidianamente ha a che fare con i nostri occhi…
Come sostiene George Lakoff, “noi pensiamo per immagini”. E quindi anche leggere o ascoltare una storia significa “vederla nella nostra mente”, come se la vedessimo coi nostri occhi. Inoltre, i neuroni specchio, attivandosi sia quando osserviamo un’azione o un comportamento, sia quando leggiamo l’azione o il comportamento di un’altra persona amplificano il rispecchiamento di tale azione o comportamento nella nostra mente come se noi la stessimo compiendo. Così i neuroni specchio si sintonizzano sull’atmosfera evocata dalla narrazione. Una grande quantità di risorse del cervello recente è dunque dedicata all’elaborazione visuale delle immagini visuali e vasta è la memoria umana deputata a questo tipo di informazioni. Ne consegue che siamo in grado di ricordare meglio immagini a distanza di anni soprattutto se queste vengono elaborate attraverso il racconto sia ascoltato sia letto. Se pensiamo per immagini, in quanto i nostri cervelli sono programmati per processare immagini, utilizzare immagini narrate è il modo più efficace e persuasivo per presentare informazioni.
Le emozioni sono intimamente correlate alla narrazione dei fatti quotidiani e in tal senso aiutano a fissar meglio nella memoria i particolari nuovi che alimentano e aggiornano i nostri schemi cognitivi. In tal senso il pensiero narrativo è un potentissimo strumento culturale al servizio delle numerose interazioni interpersonali della vita di ogni giorno. Un modo per tramandare conoscenze tra una generazione e l’altra. Attraverso il racconto, Il pensiero narrativo coordina due piani, quello della successione degli eventi (realtà e mondo esterno) con quello qualitativamente più complesso costituito da pensieri, sentimenti, etc (coscienza o mondo interno).
La conoscenza delle cose (ragione) e il sentire delle cose (emozione) abitano nello stesso luogo dando origine a processi sincretici indissolubili. La ragione senza l’emozione sarebbe vuota, così come l’emozione senza la ragione sarebbe cieca. Le nostre emozioni hanno un’influenza enorme su ogni decisione che prendiamo. Molto di quel che accade nel nostro cervello è emozionale, non cognitivo. L’esperienza emotiva è sicuramente pervasiva della condotta umana. Molte nostre decisioni e azioni sono infatti basate su emozioni (cervello intermedio) e altre su attivatori automatici (cervello antico) ai quali reagiamo a partire da qualcosa che percepiamo. Sono gli stati affettivi ed emozionali i principali fattori esplicativi della scelta degli individui. È anche vero che, mentre le emozioni portano alle azioni, la ragione porta alle conclusioni.
Gran parte dell’elaborazione svolta dal cervello antico (old brain) e da quello intermedio (middle brain) avviene al di fuori della nostra consapevolezza cosciente. Pertanto, la maggior parte delle nostre decisioni e del nostro comportamento è governata da processi inconsapevoli. Elaboriamo informazioni e “pensiamo” inconsciamente in maniera continua. Il processo è quindi inconscio e istantaneo, in atto ogni secondo di ogni minuto di ogni giorno. Mentre la parte di elaborazione cerebrale di cui siamo coscienti viene processata nel cervello recente (new brain). Ivi si trova la corteccia prefrontale deputata al ragionamento e al pensiero razionale. Si tratta di sistemi cerebrali apparentemente separati ma che in realtà lavorano simultaneamente.
Le elaborazioni del cervello intermedio e di quello antico tendono ad attivarsi maggiormente quando immaginiamo di ottenere qualcosa che crediamo possa essere piacevole e gratificante per noi e soprattutto se possiamo averlo subito o entro un limitato periodo di tempo. Ad esempio, il cosiddetto “centro del desiderio” (nucleo accumbens), catena di neuroni specializzati che si attiva quando l’organismo desidera qualcosa e se stimolato richiede dosi sempre più alte per essere soddisfatto. La dopamina, neurotrasmettitore che agisce in tale area del cervello contribuisce inondando un senso di benessere (placebo) cosa che alimenta il nostro istinto a volere intensamente l’oggetto (o il soggetto) del desiderio. In sintesi, quanto più si è emotivamente eccitati da qualcosa che ci piace tanto più lo vogliamo subito e sempre in maggior quantità.
Tuttavia, grazie alla presenza dell’amigdala nel cervello intermedio, che codifica ogni evento che produce una reazione emotiva, gli eventi emotivamente intensi vengono ricordati meglio di quelli che non sono associati a forti emozioni. Ad esempio, quando siamo spaventanti entriamo in un tale stato di agitazione che memorizziamo gli eventi concomitanti che hanno scaturito in quel momento tale emozione. Inoltre, l’amigdala tende ad essere più sensibile in tutte quelle situazioni in cui abbiamo timore di perdere un qualcosa che già possediamo (principio della paura della perdita).
Socrate, nel famoso dialogo platonico sulla scienza, il Teeteto, riteneva come la conoscenza fosse una sorta di sigillo impresso nella cera. Un sigillo che, finché non viene cancellato, non può essere dimenticato.
SOCRATE: Per amore del ragionamento, per piacere, poni che nelle nostre anime [™n ta‹j yuca‹j] ci sia una massa di cera, in uno più grande, in un altro più piccola, e in uno di cera più pura, in un altro di cera più sudicia e più dura, in alcuni, invece, più umida, ed in altri, infine, di giusta consistenza. TEETETO: Così pongo. SOCRATE: Ebbene, diciamo dunque che essa è un dono della madre delle Muse, Mnemosine, e che è in essa che imprimiamo ciò che vogliamo ricordare di quello che vediamo o udiamo, o da noi stessi pensiamo, sottoponendola alle nostre sensazioni ed ai nostri pensieri, come se vi imprimessimo [™nshma…nw] impronte di sigilli [shme…a]. E ciò che venga improntato, lo ricordiamo e ne abbiamo scienza, finché la sua immagine permane; ciò che, invece, venga cancellato, o non sia in grado di rimanervi improntato, lo dimentichiamo e non ne abbiamo scienza (Theaet. 191c/e).
Ecco da dove proviene la nostra tipica espressione quando una cosa “ci ha fatto una certa impressione” ed ecco in che modo Antonio Damasio dimostra tale pensiero di Socrate attraverso la neurofisiologia. Il marcatore somatico, ipotesi da lui elaborata, ha la funzione di collegare un’esperienza o un’emozione a una reazione specifica. Viscerale e incarnata. Quando prendiamo decisioni il nostro cervello recupera e passa in rassegna quantità incredibili di ricordi, fatti ed emozioni, distillandole in una risposta rapidissima. Inoltre, questi “segnalibri del cervello” (come li chiama Lindstrom) possono influenzare le nostre scelte in quanto aiutano il cervello a ridurre automaticamente e istantaneamente il campo delle possibilità aperte in una data situazione. Quanto più forti e percepiti saranno gli stimoli in chiave emotiva tanto più i ricordi di un’esperienza saranno vividi nella memoria anche a distanza di tempo. L’intensità dell’attenzione come grado di coinvolgimento cognitivo ed emozionale fa la differenza. Il contesto che ha generato l’esperienza emotiva è connotato da significati emozionali oltre a caratteristiche fisico-sociali.
In realtà non siamo neanche consapevoli dei motivi per cui stiamo scegliendo una cosa rispetto ad un’altra anche quando abbiamo già operato la scelta, non siamo in grado di dare una spiegazione ragionevole. D’altronde, i pregiudizi culturali radicati nella nostra tradizione, nell’educazione e in tutta una serie di altri fattori subconsci, esercitano un’influenza potente ma nascosta nelle scelte che compiamo.
Carmen Cini
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