Platone e Sankara ovvero dell’unità trascendentale della tradizione
È con l’estinzione dell’ahamkara, è con la cessazione delle modificazioni mentali, è con il discernimento del Reale che si può sperimentare “Io sono Quello”
Sankara, Vivekacudamani
In psicologia sociale per Group-serving bias si intendono tutti quei meccanismi cognitivamente inconsci (Bias) che portano a un giudizio tendenzioso a favore del proprio gruppo sociale e che porta alla suddivisione fra un ingroup e un outgroup. A livello di filosofia politica, ad esempio, i Group Serving Bias sono alla radice della dicotomia fondamentale dell’agire politico tra amico-nemico ampiamente descritto dal grande giurista e politologo tedesco Carl Schmitt. Nel momento in cui si descrive se stessi si traccia un confine, una cornice di significato che separa il Noi dall’Altro, infatti, ogni qual volta si descrive ciò che si è, automaticamente si descrive anche ciò che non si è. A livello antropologico ogni cultura tracciando il suo senso di identità e di appartenenza, facendo coincidere essi con il Blut und Boden, il “sangue e la terra” ovvero l’essere radicati in un lignaggio e in un territorio. Questo tracciare il senso di identità corrispondeva ad una opposizione con l’Altro. Esempio più celebre è il termine βάρβαρος (barbaro) attraverso cui i greci definivano tutti coloro che non parlavano la lingua ellenica, che può essere tradotto come “balbuziente” colui che non era in grado di esprimersi e in maniera ancora più profonda colui che era sprovvisto di logos, la parola attraverso cui si esprimeva la ragione, ciò che rende un uomo, un essere umano a tutti gli effetti.
I Group Serving Bias agiscono anche nel mondo della cultura sotto molteplici aspetti, molto spesso impliciti le cui conseguenze non vengono analizzate adeguatamente. Molto spesso si tende infatti a rimanere concentrati solo sulla storia e la cultura della propria tradizione di appartenenza velando gli occhi ad uno sguardo molto più globale. Ad esempio, mentre in Europa si viveva la fase che una storiografia più conservatrice chiama “Basso Medioevo”, come un’epoca di decadenza culturale, parallelamente in regioni come l’Iraq, il Khorasan, la Transoxiana, l’Afghanistan sorgeva una fiorente civiltà arabo-islamica dove si fondevano vari influssi culturali e città come Bagdad, Esfahan, Ghazna, Bukhara, Samarcanda erano molto più sviluppate delle città europee.
Un’altra conseguenza dei Group Serving Bias è una sorta di “colonialismo culturale” di tipo diacronico che tende a giudicare le opere del passato in base alle idee, e molto spesso alle ideologie, del presente e si manifesta in patetici e ridicoli tentativi di cancellare il passato culturale attraverso forme di censura e riadattamenti che nello spirito non si distinguono dai roghi dei libri compiuti dai nazisti. Riprendendo il saggio di Heidegger Identität und Differenz formano un binomio inseparabile, in cui ciascun termine figura come indispensabile per l’esistenza e la definizione dell’altro. Non puó esservi identità se non per differenza rispetto alle altre. Usando una espressione hegeliana l’identità è sempre Identität und der Nichindentität [Identità dell’identità e della non identità]. Cercare di annullare le differenze culturali in nome di una ideologia è tipico delle società totalitarie di qualunque ideologia esse rappresentino. La contemporanea cancel culture non fa differenza.
Fondativa per ogni creazione di identità è il concetto di tradizione, ovvero tutto il patrimonio culturale che viene consegnato da una generazione all’altra. In italiano il termine “tradizione” ha assunto una connotazione quasi negativa, legata ad un pensiero conservatore se non reazionario se paragonato al mito del progresso che, a partire dalla rivoluzione industriale, è diventato un diktat non solo a livello economico (l’implementazione del capitale) ma anche a livello politico e sociale. Connotata in tal modo la tradizione diventa ció che si oppone alle leopardiane “magnifiche sorti e progressive“, una sorta di “eterno ieri” che si vuole imporre sul presente e sul futuro. In Essere e tempo Heidegger ragiona intorno ai due termini tedeschi per rendere il termine “tradizione” ovvero Tradition e Überlieferung. Mentre per Tradition si intende una inerte prosecuzione morta di un passato irrigidito, per Überlieferung si intende una decisione che apre al futuro sul fondamento del passato vivente, una apertura a nuove possibilità. Allo stesso modo Hegel ne Lezioni sulla storia della filosofia affermava che «La tradizione non è una statua immobile, ma vive e rampolla come un fiume impetuoso che tanto più si ingrossa quanto più si allontana dalla sua origine. Il contenuto di essa è costituito da ciò che il mondo spirituale ha prodotto: e lo spirito universale non riposa mai».
La tradizione, intesa come Überlieferung è legata indissolubilmente alla costruzione dell’identità nella sua funzione di un radicamento in passato che è al tempo stesso apertura al futuro. L’obiettivo di questo studio è volto ad esplorare questo aspetto in un’ottica un pò allargata.
Il postulato da cui prendo avvio è l’esistenza di una Tradizione, un Sophia Perennis, che prende forme esteriori diverse ma che condividono degli assunti fondanti. E’ questa una teoria propugnata dal neo-tradizionalismo di fine XIX secolo da alcuni grandi intellettuali come Renè Guenon, Julius Evola e il Gruppo di Ur, Titus Burkhardt etc. Come recita un adagio sufi, la dottrina “esoterica” islamica, et-turuq ilâ’Llah ka-nafûs banî Adam [le vie verso il divino sono numerose come le anime degli uomini]. Le varie tradizioni che assumono forme esteriori e esteriorizzate sono delle turuq (vie) che conducono ad un medesimo centro, al cuore di una conoscenza, una Gnosi comune, non come un sincretismo, ma di tipo essenziale. Parlare di questa Tradizione significa ipso facto parlare di Metafisica.
La via (l’οδον per usare il termine di Parmenide) di partenza è uno dei fondamenti della tradizione occidentale, ovvero grande filosofo Platone e uno dei suoi dialoghi, non forse il più famoso, ma importante quanto quelli più noti come la Repubblica o il Simposio, che è Alcibiade I.
Durante il dialogo fra Socrate e il giovane Alcibiade viene citato il motto scolpito sul frontone del tempio di Delfi, gnothi seauton – conosci te stesso che spesso ricorre nell’opera platonica.
Cosa significa conoscere se stessi? Come si può conoscere se stessi? E cosa si conosce quando si conosce se stessi? Queste sono le tre domande fondamentali che faranno da filo conduttore di questo studio e che verranno analizzate attraverso un serrato confronto con un grande filosofo e rishi (saggio) Sankara, fondatore dell’Advaita Vedanta, e il contributo offerto dal sufismo islamico per mostrare come queste tre tradizioni convergano verso risposte simili.
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