THE HALO EFFECT (seconda parte). Le radici del concetto ed i primi esperimenti – di Stefano Migliorati

THE HALO EFFECT (seconda parte). Le radici del concetto ed i primi esperimenti

Sebbene il cervello umano sia straordinario nella sua capacità di interpretare la nostra realtà e prendere decisioni basate su tale interpretazione, non è sempre accurato…la risposta adattiva del cervello è quella di prendere alcune scorciatoie quando possibile…
 

THE HALO EFFECT
(seconda parte).
Le radici del concetto ed i primi esperimenti

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Sebbene il cervello umano sia straordinario nella sua capacità di interpretare la nostra realtà e prendere decisioni basate su tale interpretazione, non è sempre accurato. Il nostro mondo complicato impone notevoli esigenze alla nostra capacità di elaborazione e la risposta adattiva del cervello è quella di prendere alcune scorciatoie quando possibile. Queste scorciatoie, tuttavia, non sono sempre radicate nella ragione e nella realtà e possono portare a un’interpretazione errata del mondo che ci circonda. In tal senso, l’effetto alone è un esempio di come il nostro cervello cerca di ridurre al minimo l’elaborazione delle informazioni e di trarre rapidamente conclusioni.

L’effetto alone ha una lunga storia ed è stato illustrato molto prima che prendesse il nome. Lo psicologo americano Frederick L. Wells identificò per primo l’effetto alone in uno studio sulle valutazioni del merito letterario degli autori. In uno studio condotto nel 1907 sul merito letterario degli autori, Wells fece classificare gli autori più importanti dell’epoca da individui con diversi livelli di conoscenza e dimostrò come le percezioni complessive degli autori influenzassero le classifiche di alcuni partecipanti.

Tuttavia, la sua prima dimostrazione esplicita fu condotta dallo psicologo americano Edward Thorndike nel 1920, il primo a riconoscerlo con evidenza empirica. Thorndike fu uno dei primi comportamentisti che approfondì la psicologia dell’apprendimento. Lo psicologo Edward L. Thorndike introdusse ufficialmente il termine “errore dell’alone” nel 1920 nel suo articolo “In A Constant Error in Psychological Ratings”, descrivendolo come il pregiudizio cognitivo per cui un aspetto di una persona modella le proprie opinioni sulle altre dimensioni e caratteristiche di quella persona. Sebbene Thorndike inizialmente usasse il termine “errore dell’alone” per poi declinarlo nel concetto di “halo effect” solo per riferirsi alle persone, successivamente il suo utilizzo si è esteso anche agli ambiti del marketing. Lo psicologo cercò di definire questo pregiudizio cognitivo attraverso la replica, esaminando il modo in cui gli ufficiali in comando classificavano i loro soldati rispetto a vari parametri tra cui intelligenza e abilità. Thorndike condusse infatti uno studio chiedendo agli ufficiali militari di valutare i propri soldati subordinati in base a varie qualità, come intelligenza, capacità di leadership e aspetto fisico. Ha inoltre esaminato le valutazioni degli ufficiali in comando sulla leadership e sulle qualità personali, quali, ad esempio, abilità tecnica e affidabilità.

Nello specifico, durante l’esperimento, avrebbe chiesto a due ufficiali in comando militare di valutare i loro soldati in base al loro intelletto, qualità fisiche (come voce, fisico, energia, pulizia e portamento), capacità di leadership e qualità personali (come lealtà, altruismo, cooperazione e affidabilità).

Il pregiudizio che secondo lui caratterizzava le valutazioni (“l’errore dell’alone”) fu confermato. Thorndike scoprì che il giudizio degli ufficiali in comando era influenzato dal loro sentimento generale nei confronti di ogni singolo soldato. In altre parole, gli ufficiali in comando basavano le loro valutazioni tecniche sul fatto se credevano o meno che il soldato fosse una brava persona in generale. Thorndike scoprì che l’attrattiva di una persona influenzava in modo significativo il modo in cui venivano valutati gli altri attributi di quella persona. In altre parole,  dallo studio emerse quanto le valutazioni su una qualità tendessero ad influenzare le valutazioni su altre, anche se non erano correlate.

In particolare, dimostrò quanto le correlazioni tra fisico e intelligenza, leadership e carattere fossero coerenti, variando da 0,28 a 0,39: la correlazione tra fisico e carattere era 0,28, tra fisico e intelligenza era 0,31 e tra fisico e leadership era 0,39. Nonostante non esista alcuna relazione logica tra questi attributi. Le valutazioni parevano apparentemente influenzate da una marcata tendenza a vedere una persona in generale come buona o cattiva e poi trarre conclusioni affrettate riguardo ad altre qualità di quella persona. Thorndike ha osservato: “Le correlazioni erano troppo elevate e troppo uniformi”. Queste conclusioni si basavano sull’impressione iniziale o sul sentimento generale nei confronti delle persone interessate.

Ad esempio, le valutazioni su un attributo speciale di un ufficiale spesso avviavano una tendenza nelle valutazioni nella direzione dell’attributo speciale percepito; un tratto positivo genererebbe un trend positivo, mentre un tratto negativo genererebbe un trend negativo. I risultati finali per un particolare soldato sarebbero invariabilmente correlati al resto dei risultati, indipendentemente dal fatto che l’attributo speciale fosse positivo o negativo. Dopo aver replicato questi risultati in studi successivi, Thorndike è riuscito a concludere che le persone non sono in grado di separare le loro valutazioni generali da numerose altre caratteristiche. Di conseguenza emerge un errore di giudizio che porta le persone a dare giudizi falsi. Questi risultati suggeriscono quanto l’effetto alone abbia un impatto significativo sul modo in cui percepiamo gli altri, portando a giudizi distorti basati su qualità superficiali.

Stefano Migliorati

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