Tra linguistica cognitiva e scienze della mente, Neureka riflette!
Come avevamo previsto nei due articoli pubblicati in questo blog nei mesi scorsi l’elezione di Donald Trump non ci ha lasciato spiazzati rispetto alla maggior parte dell’opinione pubblica. Le argomentazioni che sollevammo a suo tempo in suo favore e che si basano su un punto di vista prettamente “neurocomunicativo” hanno trovato conferma.
Già un eminente esponente del pensiero cognitivista e padre della cosiddetta “linguistica cognitiva”, George Lakoff, nonché un noto psicologo e consulente esperto di campagne politiche Drew Westen, entrambi statunitensi, avevano espresso il loro parere alcuni mesi fa giungendo alle medesime conclusioni. Non solo, anche Gerald Zaltman, professore emerito presso la Harvard Business School, facendo riferimento ad un articolo della psicolinguista Julie Sedivy a proposito del suo stile linguistico, ha aggiunto alcune riflessioni in merito qualche giorno fa.
A questo proposito pare che lo stile comunicativo di Trump risulti più “femminile” di qualsiasi altro candidato nel ciclo 2016 e rispetto a qualsiasi altro candidato alla presidenza dal 2004. Questo potrebbe aiutare a spiegare come un candidato che è stato così boicottato e rimproverato per i suoi attacchi meschini sugli immigrati, le donne, i disabili e anche i prigionieri di guerra sia riuscito ad attrarre il sostegno di milioni di elettori. Gli elementi che in tal senso definiscono lo stile femminile riflettono un linguaggio più socialmente orientato, espressivo e dinamico, mentre quello maschile più impersonale, prolisso e non emozionale.
In generale, i candidati (o le persone) che usano uno stile femminile vengono percepiti come molto più calorosi, simpatici e affidabili rispetto a quelli che ricorrono ad uno stile maschile. In altre parole, “parla alla pancia delle persone”, soprattutto a quelle persone che vivono in condizioni di instabilità e di rischio. Infatti, e qui arriviamo al punto, il ricorso ad un linguaggio emozionale (come del resto è quello tipicamente femminile) risulta più efficace contro un panorama politico caratterizzato da ansia e tristezza.
E se un candidato politico in un clima di questo tipo ricorre alla metafora del “modello del padre severo”, facendo leva su frame e metafore, significa che sta applicando un rigoroso metodo di comunicazione che riesce a condizionare il dibattito e ad attirare l’attenzione di fasce ancora indecise del bacino elettorale lasciando in penombra gli avversari. Ce lo insegna la storia ma anche la psicologia, come sostiene Westen: quando la gente ha paura per la propria vita guarda all’uomo forte come a una risorsa, un vero leader: uno che ha il controllo delle cose, proprio quel tipo di controllo che in questo momento storico manca in molti paesi del mondo.
E Trump è solo un esempio fra tanti!
Sappiamo anche che la storia ha sempre prodotto e dato palcoscenico a leader il cui carisma e successo erano dovuti alla loro capacità naturale di trovare espressioni e frasi in grado di colpire il cuore e le menti di chi li ascoltava. Con la differenza che un tempo tutto questo sembra avvenisse per caso (o per magia!), mentre oggi sappiamo perché e in che modo accade. E la novità (anche se queste tecniche sono note da decenni) è che questo può essere ottenuto di proposito.
D’altra parte, le pratiche di comunicazione politica che fondano il loro successo sull’influenzamento mentale, fanno storicamente parte dell’influenzamento psicologico delle masse. Attecchiscono in un funzionamento psichico collettivo incline all’agire compulsivo e agli automatismi.
Pertanto, non esiste uno stile di comunicazione universalmente valido per tutti gli elettori in un determinato momento. Ma strumenti di comunicazione che possono influire sul processo decisionale in condizioni d’incertezza (sfruttando i bias, o errori cognitivi) attraverso il ricorso ad un linguaggio che parla al cosiddetto sistema 1 (pensiero veloce e intuitivo rispetto a sistema 2 che è più lento e razionale), come affermerebbe l’israeliano Daniel Kahneman, psicologo, premio Nobel per l’economia nel 2002. O come direbbe il celebre neurofisiologo portoghese Antonio Damasio, bisogna ammettere la significatività e il ruolo decisivo di quello che lui definisce “marcatore somatico”, una sorta di contrassegno che agisce a livello viscerale selezionando il tipo di decisione, la cui ipotesi porta alle indiscutibili conclusioni che l’emozione domina la ragione in situazioni complesse e incerte. Non esiste ragione senza emozione. Insomma, due facce della stessa medaglia!
Tutto il pensiero usa circuiti neurali. Ogni idea è costituita da circuiti neurali. Ma non abbiamo accesso a quel circuito. Come risultato, la maggior parte del pensiero (circa il 98%, come sostiene lo psicologo cognitivo e neuroscienziato statunitense Michael Gazzaniga) è inconscia, mentre il pensiero conscio è solo la punta di un iceberg.
Ci sono parole, frasi, frame e metafore che, più di altre, attirano l’attenzione della mente di chi le ascolta suscitando nelle stesse delle reazioni lasciandoci il segno. Il pervasivo ricorso a frame e a metafore, tipico dei discorsi di molti politici, non è casuale, ma spesso voluto, cercato e “strategicamente” studiato. Infatti, i primi a capirlo negli Stati Uniti sono stati i Repubblicani, in quanto si avvalgono di consulenti di comunicazione e di marketing, in tal maniera da farne quasi una scienza, piegata ai propri interessi.
E come afferma Lakoff: Non si tratta di parole ma di “frame”, schemi mentali che abbiamo all’interno del nostro cervello. Le parole che usiamo non fanno altro che attivare schemi che già esistono. Prima vengono i frame e poi le parole. L’abilità di uno scienziato cognitivista è riconoscere i frame presenti nella nostra mente, l’abilità di un politico è usare le parole in grado di attivarli.
L’opportunità di fare propri strumenti per influenzare il pensiero attraverso il riconoscimento di frame e l’utilizzo di un linguaggio in grado di attivarli non è solo appannaggio di alcuni politici, ma anche di coloro i quali vogliano aumentare la propria efficacia comunicativa rispetto al proprio target di riferimento. Il potersi avvalere di studi e ricerche interdisciplinari provenienti dalla Linguistica Cognitiva, le Scienze del Cervello e della Mente (psicologia, neuroscienze, filosofia della mente), Economia Comportamentale, fra le tante, consente di formulare proposte operative e mettere a punto metodologie allo scopo di esplorare quello che in tal senso potrebbe essere definito “inconscio incarnato” (cognitivo e emotivo).
Strumenti che si pongono l’obiettivo di calibrare il messaggio (verbale, visivo e interpersonale) attraverso i molteplici mezzi che l’uomo e la tecnologia mette a disposizione di volta in volta tenendo conto delle motivazioni profonde dell’interlocutore cui ci si rivolge. Che sia nell’attuazione di una ricerca di mercato, che sia nella progettazione di una strategia di comunicazione (pubblicitaria, politica, sociale), che sia nel ricorso al neuromarketing, che sia nella formazione. Il tutto all’interno di una cornice paradigmatica biopsicosociale, vale a dire, di un modello centrato sul cliente.
È quello che ci siamo proposti di fare attraverso il progetto Neureka (di cui sono responsabile scientifica) che si avvale di numerosi professionisti, come di esperti nelle differenti discipline e specialisti della comunicazione terapeutica applicabile ad altri contesti. Neureka al servizio del singolo come dell’organizzazione per rendere la sua comunicazione, voce più incisiva e influente sul proprio uditorio. Come avrebbe declamato, uno dei più importanti teorici dell’argomentazione, Chaim Perelman. E Neureka, sia!
Carmen Cini, Firenze, 9 novembre 2016
0 comments on “TRUMP: una profezia prevedibile” Add yours →