PLATONE E L'ORFISMO – PARTE 2 di Nicola Carboni - Link immagine: gruppo di iniziati ai misteri antichi di Nicola Carboni

Platone e l’Orfismo – parte 2

Platone e l’Orfismo: un viaggio nell’anima e nella conoscenza. Scopri come queste antiche filosofie influenzano il nostro pensiero…
 

Platone e l’Orfismo – parte 2

Abbiamo visto come gli Orfici considerino l’Anima (di ordine intelligibile) racchiusa nel corpo (di ordine sensibile) che rappresenta una sorta di carcere, di prigionia e che il compito dell’uomo è quello di ‘risvegliarsi’ riconoscendo la propria scintilla immortale.

Platone porta in espressione essoterica questo principio fondamentale dell’Insegnamento misterico ponendo come fine dell’ente caduto nella generazione il rimettere le ali e volare verso il Mondo dell’essere cui l’anima appartiene in vista della vera liberazione.

Nel Timeo Platone scrive, riguardo alla creazione degli esseri animati, che gli dei «legarono i circoli immortali dell’anima che è immortale nel corpo che è soggetto ad efflussi ed influssi» [Timeo, 43A5-6] per mezzo di chiodi invisibili. Nel Fedone specifica che questi “chiodi” sono rappresentati dalle passioni, piacere e dolori, ovvero ciò che inerisce al corpo e impedisce all’Anima il suo viaggio ascendente e anagogico. «Poiché ogni piacere e ogni dolore, come se avesse un chiodo, inchioda e fissa l’anima nel corpo, la fa diventare e le fa credere che sia vero ciò che il corpo dice essere vero [Fedone, 83D4-7]. La conoscenza sensibile, che si fonda su enti sensibili, soggetti alla generazione e al mutamento, come una sorta di camera oscura di una macchina fotografica, inverte i gradi di verità e realtà, prendendo per vero la sola dimensione fenomenologica, connotando gli enti come Essere, scambiando la realtà fenomenica per Realtà Ontologica. Per Platone e per tutte le Tradizioni Metafisiche questa è la peggior forma di Advidya, Ignoranza.

«Coloro che amano il sapere sanno che la filosofia, prendendo la loro anima interamente legata ai lacci del corpo e a essa congiunta, costretta a considerare gli esseri mediante il corpo come attraverso una prigione e avvolta in ogni forma di ignoranza, e quindi avvedendosi che la cosa tremenda del carcere è prodotta dalle passioni…questi uomini che amano il sapere sanno che la filosofia, prendendo la loro anima che si trova in tali condizioni, da ad esso consiglio e cerca di scioglierla, dimostrando che l’indagine che si conduce mediante gli occhi è piena di inganni e così anche l’indagine che si conduce mediante le orecchie» [Fedone, 82e2-7; 83a1-6] che richiama il Frammento 7 dell’Ordinamento della Natura di Parmenide «Ma tu da questo sentiero di ricerca tieni lontano il pensiero, né l’abitudine, nata da molte esperienze, ti trascini su questa via a muovere l’occhio che non vede e l’orecchio che ti ronza».

Abraham Abulafia, filosofo, mistico e cabalista del XIII secolo, affermava che lo scopo della mistica è disigillare l’anima per sciogliere i nodi che la legano e che mantengono l’anima circoscritta nell’ambito dei confini naturali e normali dell’esistenza umana impedendole di assurgere verso una dimensione  trascendentale. La causa è la stessa vita quotidiana fatta di passioni e di percezioni del mondo sensibile che riempiono la mente di forme e immagini concrete (pensiero rappresentativo). Poiché la mente percepisce tanti tipi di oggetti naturali grezzi e immette le immagini nella propria coscienza, essa crea per sé, a causa di questa funzione naturale, una determinata modalità di esistenza che porta l’impronta della finitezza.

Platone ribadisce spesso che un compito fondamentale dell’essere umano è, staccandosi da tutto ci che proviene dai sensi,  prendersi cura dell’Anima. Nell’Alcibiade I, ad esempio, il prendersi cura di se stessi si risolvere nel prendersi cura della propria anima, la componente che nell’uomo «somiglia al dio» [Alcibiade, 133c4]. Prendersi cura dell’anima, in un’ottica che congiunge Platone all’Orfismo, significa, “purificazione”. «Questa purificazione – scrive Giovanni Reale – si realizza quando l’Anima, trascendendo i sensi, si impossessa del puro mondo dell’intelligibile e dello spirituale, e ad esso si congiunge, come a ciò che è congenere e connaturale. Qui la purificazione coincide con il processo di elevazione alla suprema conoscenza dell’intelligibile [Il mondo delle Idee]. Il misticismo platonico assume i connotati di quella che nella tradizione vedica è chiamata jnanamarga, ovvero via della Gnosi, in quanto catartico sforzo di ricerca e di progressiva ascesa alla Conoscenza che diventa, allo stesso tempo, una conversione, una metanoia, da un punto di vista  morale. L’Anima si converte, si purifica, conoscendo e in questo consiste la sua virtù.

Nella Bhagavadgita leggiamo « In questo mondo non vi è nulla che purifichi quanto la conoscenza» [Bhagavadgita, IV, 38].

Anche nella tradizione orfica l’uomo è un’Anima intelligibile con una responsabilità ben precisa, con il dovere di educarsi, conoscersi, essere, vivere in conformità all’ordine universale. L’Orfismo, come tutti gli insegnamenti tradizionali, si rifà al concetto di caduta dell’anima nel mondo della generazione in un corpo fisico. In altri termini nell’uomo convivono due dimensioni: una verticale, divina, immortale, noetica e una orizzontale e terrena, corporea e sensibile nel mondo “dei nomi e delle forme [i vedici nama e rupa].

L’Anima (psyche) è dunque intermediaria tra queste due dimensioni, tra il Nous e il soma, tra la componente spirituale e quella materiale, una sorta di “battaglia” che è rievocata nel mito dell’Auriga di Platone presente nel Fedro e nel concetto islamico di Grande Jihad, inteso come sforzo, lotta individuale volta alla pacificazione dello spirito delle passioni, contro l’Iblis interiore, per il raggiungimento della perfezione nella fede.

La caduta determina inoltre la condizione di λήθη [lethe], oblio, la dimenticanza dell’anima della sua vera natura. Il processo di purificazione-conoscenza assume dunque varie connotazioni.

Senza dubbio si tratta di un processo di ri-salita di ascesi dal mondo sensibile al mondo intelligibile; un processo di risveglio, di ricordo, di liberazione e di realizzazione della natura propria dell’uomo.

Nella Bhadavadgita, al termine del dialogo filosofico con Krsna, Arjuna, il protagonista del testo, afferma «ho ritrovato la mia memoria», ovvero si è risvegliato dal sonno velante ed ha ritrovato la sua memoria offuscata da avidya-ignoranza.

In questo processo unitario ma plurisfaccettato in fondo si condensa il significato di αλήθεια [aletheia] la verità intesa nel doppio significato di non-velato (svelato) e non-dimenticato.

Nicola Carboni

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